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Perché l’Ue è strabica sul riconoscimento della Palestina

L’approvazione da parte del Parlamento Europeo della risoluzione 2014/2964 sul riconoscimento dello Stato di Palestina rappresenta un esempio di strabismo politico e di malriuscito equilibrismo istituzionale. Esso è destinato a non aiutare certo il processo negoziale in corso, a dispetto della volontà, più volte affermata nel testo, di lavorare per una soluzione negoziata. Un esame dettagliato del testo rivela, infatti, preoccupanti contraddizioni.

L’incipit sembra correttamente muoversi nel senso della prudenza: al punto 1 il riconoscimento dello Stato palestinese è sostenuto “in linea di principio”, e lo stesso punto sottolinea come il percorso debba andare di pari passo “con lo sviluppo dei colloqui di pace”. Questa formulazione non contrasta in modo sostanziale neppure con le posizioni espresse da Israele, che ha sempre sostenuto la necessità che la comunità internazionale rispetti le decisioni assunte nei negoziati.

Al punto 2 si esortano le fazioni palestinesi ad accettare gli impegni assunti da OLP, includendo Hamas tra le fazioni stesse. Molti osservatori hanno sottolineato che Hamas è stata così tolta dalla black list, e questa legittima lettura evidenzia un dato preoccupante. Tuttavia il punto 2, nel suo complesso, significa implicitamente che finchè Abu Mazen e OLP non saranno in grado di controllare Hamas non vi saranno le condizioni per andare avanti nel processo di pace. Questa interpretazione va nella direzione, da noi sempre sostenuta, che non vi siano spazi di riconoscimento per uno stato che non sia in grado di controllare al proprio interno una organizzazione terroristica che ha per statuto la distruzione di Israele.

Il punto 4 rafforza la necessità di arrivare a una soluzione negoziata e il punto 6 afferma che la UE debba essere attore e facilitatore nel processo di pace.
Fino a qui, dunque, considerazioni tutto sommato accettabili.
I problemi iniziano quando si mette in evidenza in modo netto, al punto 4, l’illegalità degli insediamenti; ma è soprattutto, l’intero punto 5 della risoluzione a essere del tutto incoerente con i principi espressi nel testo. Infatti, il “fermo sostegno” alla soluzione basata sui confini del 1967 è una chiara e inaccettabile intromissione nei negoziati, una entrata a piedi uniti che toglie al Parlamento Europeo quel ruolo di super partes che esso stesso si arroga.

Si tratta, in sintesi, di una risoluzione ambigua e contraddittoria, infarcita di luoghi comuni e ricca di prese di posizione, anche esplicite, a favore delle tesi palestinesi mentre non una sola parola viene spesa a favore dei diritti di Israele, fatto salvo un generico accenno alle “legittime aspirazioni… degli israeliani alla sicurezza” (bontà loro…).

Un Parlamento europeo che veramente avesse avuto a cuore una soluzione negoziata, equilibrata, stabile e duratura non avrebbe dovuto approvare un atto destinato solo a creare ulteriori tensioni, danneggiando certamente i difficili e delicati percorsi in atto. Le reazioni di Israele, del tutto legittime e giustificate, dimostrano l’inopportunità di un atto che si sarebbe potuto facilmente evitare o, quantomento, mantenere nei binari di una vera neutralità. Ed è sinceramente sorprendente che il PPE abbia ceduto in modo così evidente alle pressioni della sinistra.

Ora il compito per Federica Mogherini appare più difficile: è auspicabile che la Commissione sappia correggere la rotta introducendo nelle trattative quella saggezza che il Parlamento, evidentemente succube di posizioni populiste e falsamente pacifiste, non ha saputo dimostrare.

Paolo Alli (Ncd) è componente della commissione Affari esteri e vicepresidente della delegazione parlamentare presso l’Assemblea parlamentare della Nato

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