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Immigrazione, fine dello Stato?

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La questione immigrazione non è semplicemente uno dei problemi principali che il nostro governo deve affrontare in queste ore; non è neanche quello che domina la nostra attualità, come un tempo fu il dramma dei profughi albanesi o curdi.

I flussi che in modo continuo, forsennato e incontrollato spingono persone da tutto il sud del mondo sulle nostre coste è la più grande e portentosa sfida che la storia mette davanti alla civiltà europea. Occorre pertanto, come ha suggerito il filosofo Paul Ricoeur qualche anno fa, aprire un’interpretazione profonda del significato che questo evento assume nella nostra visione della vita.

L’aumento esponenziale della quantità e della varietà degli arrivi rende sicuramente continentale, per non dire mondiale, la tragedia. Ed è molto importante, innanzi tutto, che si consideri l’azione da intraprendere in proporzione alle responsabilità e ai ruoli che ciascuna istituzione rispettivamente detiene.

È chiaro, ad esempio, che il Santo Padre non possa non sottolineare, dato il suo ruolo di guida spirituale della cristianità, l’elemento universalmente umanitario che deve muovere tutti all’accoglienza. Così come è logico che le autorità europee, Commissione e Parlamento in primis, dovrebbero assumere un atteggiamento autenticamente volto al bene di tutti i Paesi membri. Allo stesso modo gli esempi potrebbero moltiplicarsi fino ad arrivare alle regioni, ai comuni e a ciascuno di noi.

La vera domanda da fare, pertanto, è se qualcosa di corrispondente al buon vecchio Stato nazionale abbia ancora una sua ragion d’essere e una finalità, e se esso debba assumere la forma che è definita con il termine “sovranità”.

Facendo un paragone con la questione greca, il ragionamento diviene lampante. Se uno Stato è indebitato e inadempiente, è logico che la sua sovranità economica è sottoposta alla dura volontà dei creditori esteri. Nel caso, invece, dei flussi migratori esistono soltanto due opzioni: o non esiste più lo Stato, e allora è assurdo pensare poi che i cittadini debbano pagare imposte, tasse, tributi e così via; oppure se esiste uno Stato, che ancora pretende di avere il ruolo d’autorità che giustamente possiede, bisogna che il suo governo si occupi innanzitutto dei propri cittadini, proteggendo e tutelando esclusivamente i loro interessi.

È bene, insomma, nel caso in questione non confondere aspetti che hanno rilevanza diversa, generando uno slittamento assurdo e una delazione di responsabilità. Uno Stato, se esiste, si sente che c’è. E uno Stato non raccoglie e non ha un onere di legittimità valido per tutto il genere umano, ma solo per i cittadini che lo mantengono in vita con i propri risparmi e con i relativi costi enormi necessari al suo mantenimento.

Il problema dell’immigrazione è legato a doppio filo, in fin dei conti, con la crisi del concetto di Stato sovrano. Senza dei confini di cittadinanza certi, non possono esserci confini territoriali certi. E senza uno spazio chiuso, nel quale lo Stato esercita controlli, garanzie e eroga servizi, non è possibile neanche minimamente garantire la giusta solidarietà verso chi si avventura tra le nostre case, perché non sono garantiti i diritti originari del popolo nativo.

In definitiva per l’Italia non è prioritario in questo momento se i malcapitati vengano trasferiti in Lombardia, in Veneto o in Toscana, ma il principio con cui si considera ovvio accogliere non cittadini in massa e senza autorizzazione nello spazio territoriale chiuso dai nostri confini di terra e di mare.

Arriverà un momento in cui ci troveremo senza più uno Stato definito, e senza ancora averne creato un altro più o meno esteso. Poiché, infatti, una europea non esiste ancora, e forse non esisterà mai, una volta erosa la compattezza precisa della nostra comunità, non vi sarà più alcuna autorità pubblica in grado di gestire nella legalità gli esseri umani che sono nel territorio come una mescolanza ibrida di cittadini e non cittadini, ghettizzata da tante tribù.

La questione vera, in definitiva, sta tutta qua. Per poter garantire lo status di libertà e di dignità della nostra vita, bisogna chiudere i confini e espellere tutti coloro che non sono assorbibili in tempi ragionevoli nella nostra società. Altrimenti un giorno nascerà dal disfacimento della cittadinanza un nuovo Stato colorato di bandiere nere, fondato sul principio che sono cittadini proprio coloro che oggi sono considerati immigrati e disperati senza diritti. D’altronde chi potrebbe impedirlo? E di chi sarebbe la colpa, nostra o dell’Isis?

È già successo più volte qualcosa del genere nella storia. E succederà ancora se il solidarismo finto-buonista dell’accoglienza crimimogena, quando non criminale, si tradurrà in eutanasia dello Stato, e perdita di rigore nel distinguere chi sta dentro e chi sta fuori la comunità nazionale.

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