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Perché la Liguria di Toti è un laboratorio nazionale per il centrodestra

La Liguria non è mai stata, come oggi, centro della politica nazionale.

La vittoria di Giovanni Toti è stata, difatti, la prima, vera e grande sconfitta di Matteo Renzi. Aprendo, nei fatti, scenari per il futuro del tutto impensabili, fino a pochi mesi fa.

Ha vinto l’idea del centrodestra proposta da Toti; la sua intuizione, nell’osservare nella divisione a sinistra la possibilità di ritrovare voti nel proprio, naturale e disperso, bacino moderato.
Ha vinto il suo approccio, moderato: la sua capacità di riunire tutti attorno a un tavolo e di apparecchiare per tutti, come in nessuna delle altre sei regioni al voto. E certamente non come a Roma, dove Alfano e Salvini non prenderebbero neppure un caffè, insieme.

Contemporaneamente, a esser stata sconfitta, è stata la stessa idea del Pd di Matteo Renzi.
Quell’idea, incarnata in Liguria da Raffaella Paita, è quella di un partito sfrontato, un pizzico arrogante, che non si vergogna di guardare al centro e a destra. Marginalizzando e umiliando la sinistra, propria minoranza e politica.
Nei giorni successivi al voto ligure, i renziani più sfegatati urlavano alla sinistra “rosicona e scissionista”. Colpevole, per aver consegnato la vittoria al centrodestra.

La realtà, ha disegnato sì i contorni di un laboratorio politico: ma non quello dei “colpevoli” Cofferati, Civati e Pastorino; ma di un Pd a immagine e somiglianza del Premier, spaccato a sinistra e alla ricerca di un allargamento della propria base elettorale al centro e a destra.
Sperimentato già da gennaio, con le drammatiche primarie che hanno messo alla porta Cofferati e spostato verso il centro il baricentro del partito, questo laboratorio ha poi clamorosamente perso. Stretto, tra sinistra e moderati, è crollato sotto i 28 punti percentuali, quando il Pd ligure, da solo, sfiorava i 50, ad Ottobre.

Proprio quei moderati, che Renzi ricercava nel mezzo della confusione allora sovrana nel centrodestra, pensando di poter ben fare a meno di qualche pezzo, a sinistra. Quella sinistra “vecchia, logora, la sinistra del 25%”.
E qui, è stata l’intuizione di Giovanni Toti, che scendendo in campo ha saputo riunire il voto moderato intorno a sé e sfruttare, efficacemente, la divisione a sinistra.

Brutalmente, i numeri della coalizione di centrodestra raccontano di una Lega che ha quasi doppiato Forza Italia (20,25%, rispetto a 12,66%), e raccolto da sola più voti di tutti gli altri partiti della coalizione insieme (110mila circa, contro i restanti 95mila).
Ma guardando ai flussi elettorali, e osservando il massiccio voto disgiunto di chi, nel Pd, ha preferito votare il proprio partito ma contemporaneamente Pastorino (candidato a sinistra) o addirittura Toti, Presidente; leggendo, insomma, il voto ligure in chiave squisitamente politica, è chiara e nettissima, la vittoria tutta personale di Toti.

Se si fosse candidato un leghista, come leader del centrodestra, non avrebbe vinto.
Abbiamo la prova, manca la controprova. Ma certamente nessun leghista, oggi magari in ballo per un ruolo di governo regionale, se ne avesse possibilità tornerebbe indietro, con in mano la leadership per la campagna elettorale.
A sinistra, quei tantissimi che hanno individuato in quella paitiana una proposta annacquata, inopportuna e non autenticamente della propria area politica, l’avrebbero probabilmente lo stesso ingoiata, se l’alternativa era una possibile vittoria leghista.

Dall’altro lato moltissimi voti moderati, senza la discesa in campo di Toti, sarebbero stati dispersi o direttamente inglobati dalla coalizione paitiana. Come avvenuto, appunto, durante le primarie, con una buona fetta partitica di Area popolare in appoggio della Paita e non solo.
La proposta elaborata da Giovanni Toti, pur nello scetticismo iniziale, ha saputo invece coalizzare e blindare l’intera area tra centro e atteso exploit leghista, soffocando gli avversari tra sinistra e moderati e trovando, così, il clamoroso successo.

Oggi, il laboratorio proposto in salsa ligure da Renzi e sfruttato da Toti con la sua intuizione, si sta lentamente realizzando in chiave nazionale.
La sinistra si sta pigramente scindendo, il Pd perde pezzi. Cominciando proprio dalla Liguria con Cofferati e Pastorino, continuando (per ora) con Civati e Fassina. Gufi, per raccontarla nel linguaggio renziano, che hanno tratto il dado e attraversato il Rubicone, quale confine di un Pd che per loro non era più sinistra.

Il centro destra d’altra parte continua ad apparire come una complessa torre di Babele. Da Alfano a Salvini, è contemporaneamente maggioranza e opposizione. In Italia, quanto in Europa. In più, i moderati hanno perso la perenne possibilità di riunirsi contro l’atavico nemico rosso: di comunisti, oggi, ne sono rimasti ben pochi, anche grazie a Renzi che sta, appunto, cambiando l’identità della sinistra italiana.

E il tema della leadership tornerà prepotentemente alla ribalta, contenendo nella discussione, inevitabilmente, anche il perimetro delle alleanze cucito intorno alla stessa.
Intanto domani, mercoledì, si riunirà il primo Consiglio della regione Liguria, ed entro dieci giorni saranno annunciati i nomi della giunta, che ai più pare ormai blindata in un accordo che comprende tutte le aree della coalizione.

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