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Sequestro Moro, cosa ha scovato la Commissione Fioroni

(Il primo della serie di tre articoli sul rapporto della Commissione Fioroni si può leggere qui)

Non trascorsero inutilmente, per il povero Aldo Moro e quanti avrebbero dovuto proteggerlo, soltanto i 26 giorni seguiti alla segnalazione del 18 febbraio 1978 dalla “fonte 2000” di Beirut dei servizi segreti italiani, informati dai palestinesi di un’operazione nel nostro Paese concordata o a conoscenza a livello terroristico internazionale. Purtroppo trascorsero inutilmente anche gli ultimi, sessanta minuti- come vedremo- che precedettero il tragico sequestro del presidente della Dc, avvenuto il 16 marzo fra le 9 e tre minuti e le 9 e 5 minuti, dopo 93 colpi d’armi da fuoco di cui 49 sparati da una sola fonte e 2 soltanto da uno degli agenti di scorta di Moro:  il poliziotto Raffaele Iozzino. Gli altri quattro della quadra non ebbero neppure il tempo e il modo di tentare una reazione armata.

Pochi minuti dopo le ore otto, quando Moro era ancora a casa e la scorta si accingeva a raggiungerlo per accompagnarlo alla Camera, lungo un percorso rivelatosi – ahimè – troppo abituale, nell’abitazione romana del senatore moroteo Vittorio Cervone la domestica Clara Giannettino trasecolò ascoltando alla Radio Città Futura, diretta da Renzo Rossellini e appartenente all’area extraparlamentare di sinistra non certamente ignota alle forze dell’ordine, che “forse rapiscono Moro”.

A sequestro avvenuto, e su segnalazione di Cervone, il capo della Polizia incaricò il vice questore Umberto Improta di ascoltare la signora. Che fu interrogata nel pomeriggio e risultò senza precedenti sfavorevoli e sana di mente, “in un appunto redatto su carta intestata del Ministero dell’Interno, senza destinatario né protocollo”, come si legge nella relazione del presidente della nuova commissione parlamentare d’indagine sul caso Moro, il deputato Giuseppe Fioroni, pubblicata il 10 dicembre scorso nell’apposito bollettino della Camera.

L’appunto tuttavia conteneva anche “osservazioni aggiuntive” che, secondo la relazione di Fioroni, minavano alla radice l’attendibilità della signora, ritenuta “di livello culturale molto scadente, se non inesistente, abituata ad ascoltare soltanto canzonette e, quindi, di scarsissima ginnastica mentale”. Pertanto la donna, secondo l’impressione del dottor Improta riferita nella relazione di Fioroni “in buona fede e sotto la spinta emotiva della drammatica notizia avrebbe frainteso il significato di un comunicato radio riguardante Moro”. E la cosa, in mancanza di una registrazione delle trasmissioni di quella radio da parte dei centri autorizzati di controllo, finì nella nebbia, anche giudiziaria, fra le inutili proteste levate dopo qualche mese da Cervone in una intervista a Famiglia Cristiana.

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La nuova commissione parlamentare d’inchiesta ha giustamente riaperto e approfondito la vicenda. La relazione di Fioroni dice: “Eppure Improta conosceva personalmente Rossellini”, il direttore cioè della radio ascoltata dalla collaboratrice di Cervone. “Esisteva da tempo un contatto, riconosciuto da entrambi anche nel corso di audizioni parlamentari. Si trattava anzi di un rapporto privilegiato, secondo quanto riferito a collaboratori della Commissione dall’allora funzionario della Digos Vittorio Fabrizio”. Che “lasciò il servizio poco dopo la strage di via Fani, rimase del tutto estraneo all’inchiesta e non fu mai ascoltato dai magistrati inquirenti”, ha tenuto ad annotare Fioroni mostrando uno stupore condivisibile.

Inoltre, Improta “circa due settimane prima dei fatti di via Fani, secondo una dichiarazione del tutto attendibile, avrebbe ricevuto da Rossellini significative informazioni su eventi eclatanti in vista”. Ma non è finita. La relazione Fioroni fa rilevare che “Rossellini conviveva con Giovanna Francesca Chantal Personè, militante di sinistra, sospettata all’epoca di essere vicina alle Brigate Rosse, coinvolta in indagini per reati associativi”, per cui “tale circostanza rende possibile l’ipotesi ch’egli potesse disporre di elementi di conoscenza tali da consentirgli di formulare, sia pure in forma dubitativa, previsioni affidabili circa iniziative di tipo terroristico”. Previsioni, d’altronde, confermate dallo stesso Rossellini davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi presieduta dall’allora senatore Giovanni Pellegrino ammettendo di avere già riferito nell’autunno del 1978 ad un giornalista del francese Le Matin  che “nel suo ambiente si parlava molto di un eventuale attentato delle Brigate Rosse in coincidenza con la votazione alla Camera del governo e con l’entrata del Partito Comunista nella maggioranza”.

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No. Non è finita neppure con questo. Il presidente della Commissione ha voluto inserire nella sua relazione il testuale racconto fatto di quella tragica mattina del 16 marzo 1978 nella Questura di Rona, e non solo in via Fani, da Vittorio Fabrizio: “Già nelle prime ore della mattinata circolava la notizia, nell’ambiente dell’Ufficio politico della Questura, che il rapimento fosse stato annunziato da Radio Città Futura” prima dell’evento. ”Nel corso della giornata – ha riferito sempre l’ex funzionario della Digos – ho commentato riservatamente questo dato con i miei colleghi dottor Infelisi – da non confondere, osservo, con l’omonimo magistrato inquirente, Luciano – e dottor De Stefano, entrambi a conoscenza della stessa circostanza. Si è trattato di un colloquio molto cauto perché eravamo tutti consapevoli” dell’abnormità della situazione “meritevole di approfondimento”. “Mi resi immediatamente conto – continua il racconto – che se la notizia fosse stata rappresentata al dirigente dell’ufficio politico, dottor Spinella, in tempo reale, come la rilevanza dell’evento lasciava presumere, ciò avrebbe avuto conseguenze colossali”. Avrebbero potuto quanto meno allertare telefonicamente la scorta di Moro, e sventare l’operazione, par di capire.

Il caso – o solo il caso? – volle tuttavia che proprio il dirigente dell’ufficio politico della Questura, Domenico Spinella, corresse sul posto del sequestro in tempi così rapidi da precedere di poco l’allarme della sala operativa, secondo orari e tempi su cui la commissione ha attentamente indagato ascoltando, fra gli altri, l’allora autista del dirigente di polizia, Emilio Biancone.

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