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Ecco come le agenzie di rating sbagliano sull’Italia. Parla il prof. Fortis

Debito aggregato. È questa l’arma in più che Matteo Renzi può portare in Europa sperando in una maggiore considerazione per i conti pubblici italiani. La somma del nostro debito pubblico, purtroppo tra i più alti al mondo, con quella del debito privato, dove la performance italiana è tra le migliori in Europa, fa dell’Italia un paese relativamente virtuoso, al pari quasi della Germania. Una metodologia – fino a qualche anno fa considerata quasi come un’eresia – che adesso viene certificata per la prima volta in un report della Banca dei regolamenti internazionali che posizione l’Italia nella fascia dei paesi “solidi” insieme a Francia, Svezia e Gran Bretagna. Soddisfatto per questo risultato è soprattutto il professor Marco Fortis, economista, vice presidente della Fondazione Edison, che da anni si batte perché quando si fanno le pulci sullo stato di salute di un paese si prendano in considerazione oltre agli “oneri pubblici” anche quelli privati che fotografano un’Italia meno zimbella al cospetto di altri partner europei.

Perché questo report è positivo per l’Italia?

Avere una visione complessiva del debito di un Paese aiuta ad inquadrare meglio la sua posizione reale. Perché se un paese ha un debito pubblico alto e gli cresce troppo anche quello privato, come ad esempio è successo alla Grecia, è chiaramente spacciato. Viceversa, per la Banca dei regolamenti internazionali l’Italia è la nazione col più basso debito delle famiglie e con il quinto più basso debito delle imprese tra le 16 principali economie avanzate.

Questo cosa significa?

Che tutti i dibattiti sul debito pubblico appaiono sterili se non prendiamo in considerazione più parametri per capire la sostenibilità finanziaria del debito stesso, in primis l’avanzo primario dello Stato, nonché la grande ricchezza finanziaria privata delle nostre famiglie che ammonta a 3mila e 800 miliardi di euro lordi. L’esperienza ci dimostra che negli ultimi dieci anni i paesi che hanno rischiato il default non sono quelli con alto debito pubblico ma quelli che hanno fatto crescere troppo rapidamente il debito privato senza possedere adeguate ricchezze private e poi lo hanno scaricato sui conti pubblici. In più l’Italia dal 2008 al 2015 in termini monetari ha avuto una crescita percentuale del debito pubblico che è la più bassa in Europa insieme a quella dell’Olanda e della Germania. Certo il nostro rapporto debito Pil è storicamente alto per gli eccessi ereditati dalla Prima Repubblica, ma sono 25 anni che è sopra il 100% senza che ciò abbia mai creato problemi di insolvenza, si sono sempre pagati gli interessi regolarmente e in gran parte cash, grazie al surplus primario. L’Italia è tra i pochi Paesi al mondo che lo possono fare, assieme alla Germania. Gli altri per pagare gli interessi emettono nuovi debiti.

Eppure le agenzie di rating non considerano il debito aggregato, il nostro appare ancora un paese poco affidabile…

Le agenzie di rating stanno trattando l’Italia in una maniera scandalosa. Secondo Standard & Poor’s noi abbiamo un rating BBB- ed è di poco più alto per le altre due agenzie maggiori. Ma soprattutto la valutazione di S&P è senza fondamento perché ci è stata affibbiata nel momento di culmine della crisi dei debiti sovrani. A quell’epoca la Bce non agiva come la Fed o la Banca d’Inghilterra a difesa dei debiti dell’Eurozona e ancora non applicava il Quantitative Easing. Da quando la Bce ha avviato la sua politica di acquisto dei titoli del debito pubblico sono venute meno le condizioni per avere quel BBB-. Ci dicono: l’Italia cresce poco… Ma se nel 2012 il nostro Pil era in caduta libera, oggi è positivo e nel 2016 crescerà appena tre decimali sotto a quello tedesco. Allora dove è il problema?

Forse la valutazione è negativa anche per via delle sofferenze bancarie…

Una ipotesi del tutto infondata. Abbiamo dimostrato che i crediti dubbi delle banche italiane sono coperte da rettifiche e garanzie reali immobiliari mediamente per il 130%. È un falso problema. Si guardi piuttosto ai derivati nei bilanci delle grandi banche di altri Paesi. La verità è che non ci sono oggi le condizioni per mantenere un rating così basso all’Italia, che ci danneggia perché se migliorasse la valutazione delle agenzie pagheremmo meno interessi e potremmo destinare parte del risparmio sia alla riduzione del debito che a sostenere la crescita.

Quindi cosa bisogna fare?

Dovremmo chiederci: come è possibile che l’Italia, terza economia dell’Eurozona, seconda potenza manifatturiera e secondo miglior surplus statale primario d’Europa dopo la Germania, abbia lo stesso rating della Romania? E’ giusto? No, non ha senso. Queste agenzie dovrebbero essere più responsabili nei riguardi del nostro Paese.

Sì, ma la replica sarebbe che il debito pubblico italiano continua a crescere, che non si fa abbastanza…

Falso. Il nostro debito nell’ultimo trimestre del 2015 è cresciuto in valore rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente dell’1,6%: è il più basso tasso di crescita trimestrale che il debito italiano abbia mai avuto dallo scoppio della crisi. Per intenderci, persino con Monti il debito cresceva tendenzialmente del 4%. Oggi è meno della metà e dal 2016 calerà il rapporto debito/PIL. Dunque dove è questo sforamento dei conti? Tra l’altro il nostro deficit è abbondantemente sotto il 3%.

Allora questa moral suasion verso le agenzie di rating che sono istituti privati da chi dovrebbe partire?

Si potrebbe cominciare con l’aprire un dibattito serio perlomeno in Italia. Anziché vedere i soliti editoriali che ripetono stancamente luoghi comuni e parlano del debito e della nostra situazione finanziaria complessiva con una conoscenza approssimativa delle cifre, sarebbe utile che economisti ed opinionisti si interrogassero sul perché un Paese come il nostro, che è in avanzo statale primario ininterrotto dal 1992 (con la sola eccezione del 2009 in cui sforammo appena dello 0,9%), ed ha sempre più che onorato il proprio debito, venga trattato in questo modo.

Cosa propone allora?

In Italia gli intellettuali firmano manifesti su quasi tutto, spesso anche su cose marginali. Perché allora non promuovere anche un manifesto che chieda la revisione al rialzo del rating dell’Italia?

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