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Come vanno i conti dell’Italia

In questi giorni di confusione sul maxiemendamento sulle Unioni civili che ha dato risultati deludenti e quasi ridicoli (la questione della fedeltà è la più evidente), tra abbracci teatrali della senatrice Cirinnà e dichiarazioni arroganti dei verdiniani, noi, stanchi come la maggior parte degli italiani, abbiamo cercato di capire e studiare la razionalizzazione (?) e la revisione (?) della spesa pubblica, denominata spending review. Lo abbiamo fatto con molta curiosità, spinti dalla relazione della Corte dei Conti che è e rimane la fonte certa dei numeri italiani. Poi ovviamente c’era già Juncker che soffiava sui carboni che cercavano di essere spenti dal ministero dell’Economia e da dichiarazioni renziane, ormai evidentemente orwelliane. Le parole inequivocabili del presidente della Corte Squitieri testualmente puntano il dito contro il governo: “…il parziale insuccesso o, comunque, le difficoltà incontrate dagli interventi successivi di “revisione della spesa” sono anche imputabili ad una non ottimale costruzione di basi conoscitive sui contenuti, sui meccanismi regolatori e sui vincoli che caratterizzano le diverse categorie di spesa oggetto dei propositi di taglio… i risultati conseguiti – che sono importanti a livello di dati aggregati – …nascondono i segni delle rigidità e delle difficoltà incontrate nella scelta delle modalità di contenimento della spesa. Il sacrificio degli investimenti pubblici – un punto su cui il Governo sta ponendo una attenzione particolare – è una prima evidenza emerge dall’esperienza degli ultimi anni e che testimonia un risultato molto sbilanciato nella composizione tra spesa corrente e spesa in conto capitale… Ma di pari importanza è l’osservazione secondo la quale il contributo al contenimento della spesa non è più solo riconducibile ad effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto, piuttosto, ad operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività. Dai tagli operati è, dunque, derivato un progressivo offuscamento delle caratteristiche dei servizi che il cittadino può e deve aspettarsi dall’intervento pubblico cui è chiamato a contribuire… Queste contraddizioni appaiono, naturalmente, più stridenti sul fronte degli enti territoriali. Così, per le regioni, al netto di quanto destinato al finanziamento della spesa sanitaria, si evidenzia come il progressivo taglio delle risorse disponibili si sia tradotto in una modifica del rilievo delle funzioni svolte, con caratteristiche diverse tra regioni, e come ciò stia progressivamente portando a delineare particolari modelli territoriali e diversità di accesso dei cittadini ai servizi”.

Pochi minuti dopo il ministero dell’Economia e delle finanze passava alla difensiva con il suo controcanto e snocciolava numeri. Incerti e soprattutto vaghi. Molto vaghi su presunti risparmi dal 2014 ad oggi: 18.003 milioni di euro e, addirittura ne sono in previsione altri 7177 nell’anno corrente. Si parla di consulenze tagliate (ma sono aumentate), di vendita degli immobili del ministero della Difesa (ma le caserme sono ancora tutte lì e abbandonate in rovina), di risparmi della spesa per gli acquisti della Pubblica amministrazione (ma la digitalizzazione è ancora da attuare) e via dicendo, in un racconto di improbabile futuro di risultati che non ci sono stati.

Basta fare i conti con la matita rileggendo le Relazioni dei “furono” commissari alla spending review Cottarelli e, dopo di lui il bocconiano Perotti, dimessosi sbattendo la porta, e dell’attuale Gutgeld, che prevedevano in un biennio/quasi triennio ormai alle spalle, un salvadanaio immaginario. Anche perché sappiamo bene che i 4,2 miliardi di virtuoso risparmio solo sognato era instabilmente piantato, in un periodo ormai consumato, su proiezioni di tagli al Senato e Organi costituzionali (ancora vivi, vegeti, allegramente finanziati) sulla digitalizzazione dei pagamenti della PA e dall’accorpamento delle Forze dell’ordine (ancora tutto da realizzare).

Ultimamente Renzi quando spara dei numeri nelle abituali conferenze stampa di Palazzo Chigi è fortemente deriso dalla stampa estera, perché i numeri non sono un’opinione ma fatti. E i numeri di Palazzo Chigi non tornano. E tra i siluramenti di chi è andato per tagliare ed è stato tagliato, l’Italia affonda in un mare di debiti. Presidente, compagne e compagni: i tagli possono basarsi su maggiori efficienze e minori sprechi, nel qual caso non esiste altra strada che farsi guidare da chi conosce la struttura della spesa, coprendogli le spalle dai pesanti attacchi, cioè l’esatto contrario di quel che avete fatto con Cottarelli.

Oppure, e sono quelli più promettenti, possono essere generati da riforme, da cambiamenti profondi dell’agire pubblico. Insomma più che tagli una vera e propria riqualificazione della spesa pubblica, che, naturalmente, si può anche ridurre aumentandone la qualità. Questo è il lavoro serio e alto della politica. Il resto è ragionerismo praticato da gente che non conosce la ragioneria e non dice la verità. Con i risultati che si vedono.

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