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Pensioni, cosa prevederà la flessibilità in uscita dei dipendenti

Di Michele Poerio e Carlo Sizia

In questi ultimi tempi, in preparazione della legge di stabilità 2017, si fa un gran parlare di iniziative governative volte a favorire la cosiddetta “flessibilità in uscita” dei lavoratori dipendenti (pare di capire riservate, in via prevalente od esclusiva, ai lavoratori dipendenti del settore privato).

Già la legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) aveva stabilito micro-interventi in materia, e cioè: l’estensione della cosiddetta “opzione donna” anche per chi avesse maturato i requisiti (57 anni e 3 mesi di età e 35 di contribuzione, per le dipendenti pubbliche) entro il 31/12/2015, ancorché la decorrenza del trattamento di pensione anticipata, calcolata con meccanismo contributivo, si collochi oltre tale data per effetto dell’applicazione dei 12 mesi della finestra mobile; possibilità, per i lavoratori dipendenti del settore privato con contratto a tempo pieno e indeterminato che maturino i requisiti per la pensione di vecchiaia entro il 31/12/2018, di stipulare contratti part-time agevolati con orario tra il 40 ed il 60% dell’orario pieno, con retribuzione corrispondente al part-time lavorato, cui si aggiunge un importo corrispondente ai contributi pensionistici datoriali (23,81 %) calcolati sulla parte di retribuzione non più dovuta per effetto del taglio orario. Tale somma è esente sia da contributi, sia da imposte ed inoltre il lavoratore non avrà decurtazioni sulla futura pensione in quanto per la parte di retribuzione persa sarà lo Stato a provvedere con contributi figurativi; modesta estensione della no-tax area (da 7.500 a 7.750 € per i pensionati con meno di 75 a. e da 7.750 a 8.000 € per i pensionati con almeno 75 anni), che si tradurrà in un modesto risparmio IRPEF per i pensionati interessati, che decresce tuttavia all’ammontare del reddito complessivo fino al limite di 15.000 € (oltre il quale non ci sono benefici).

Oggi invece si ipotizzano interventi, non meglio definiti nella loro articolazione, nella platea dei possibili beneficiari e nei costi relativi, secondo questi principali indirizzi:

a) consentire un’uscita più flessibile verso la pensione di vecchiaia, così da realizzare il pensionamento 3-4 anni prima della soglia di vecchiaia oggi prevista, con una riduzione permanente però dell’assegno attorno al 3% per ogni anno di anticipo;

b) in alternativa potrebbero, a domanda dei lavoratori, essere versati assegni ridotti, rispetto alla pensione piena, in forma fissa (700-800 €/mese) nei 2 – 3 anni che precedano la maturazione della pensione di vecchiaia. Questa modalità (prestito pensionistico) esigerebbe l’intervento del sistema bancario-assicurativo, con INPS e Stato come intermediari e garanti. Il prestito sarebbe erogato dalle Banche attraverso l’INPS e, al raggiungimento del requisito di vecchiaia, il lavoratore restituirebbe il prestito, sempre attraverso l’INPS, in piccole rate trattenute sul rateo mensile finale dell’assegno pensionistico. Banche ed Assicurazioni riceverebbero incentivi o “interessi”, da parte dello Stato, anche a copertura del rischio di morte anticipata del lavoratore;

c) è verosimile che le ipotesi sub a) e sub b) vengano garantite, in via prioritaria, o almeno iniziale, solo ai lavoratori ultra 60-62 enni in esubero nelle crisi aziendali, agli over 62 enni disoccupati, ai soggetti occupati in mansioni usuranti, ai lavoratori precoci, ecc.;

d) verrebbe “toccata” anche la previdenza integrativa, con una riduzione di 3-4 punti dell’aliquota sui rendimenti dei fondi pensioni (portata due anni fa dall’11,5% agli attuali 20% dal Governo Letta), con l’incremento della deducibilità dei versamenti oltre la quota annuale di 5.164,57 €, con la previsione della destinazione obbligata di almeno una parte del TFR alla previdenza complementare. Tutto ciò per cercare di contrastare i dati sconfortanti della previdenza complementare italiana: solo 7 milioni circa di aderenti, il 20% dei quali ha sospeso nell’ultimo biennio i versamenti a causa della perdurante crisi socio-economica;

e) viene poi fatta balenare la possibilità di un “bonus” di 80 € a favore dei pensionati “al minimo”, nella speranza che possa ripetersi il “miracolo” del consenso indotto a seguito dell’elargizione di somma analoga ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 24.000 € annuali, avvenuta proprio alla vigilia delle ultime elezioni europee. Ed anche ora siamo alla vigilia di importanti consultazioni elettorali e la tentazione di usare risorse pubbliche per favorire la propria Parte è forte.

(Prima parte di un’analisi più ampia. Le altre puntate saranno pubblicate nei prossimi giorni)

Michele Poerio, presidente FEDER.S.P.eV.

Carlo Sizia, comitato direttivo FEDER.S.P.eV.

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