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Siloe Film Festival, il cinema entra in monastero per riflettere sulla modernità

Un monastero sperduto tra le colline dell’entroterra maremmano, un parterre di film (cortometraggi, documentari e d’animazione) proposti da autori internazionali, spesso giovani ma già affermati, e un gruppo di monaci e teologi che si confrontano con intellettuali, poeti, attori, registi: mescolateli tutti insieme e ne verrà fuori il Siloe Film Festival, una rassegna cinematografica (giunta quest’anno alla terza edizione) organizzata dal Centro Culturale San Benedetto all’interno del Monastero di Siloe a Poggi del Sasso, provincia di Grosseto, e promosso dall’Ufficio delle comunicazioni sociali della Cei e dalla Fondazione Ente dello Spettacolo.

Il festival, che avrà luogo venerdì 8 e sabato 9 luglio, si pone l’obiettivo di riflettere sui percorsi dell’umano nell’epoca contemporanea, partendo però dallo sguardo dei monaci benedettini: gli stessi che a partire dal sesto secolo, attraverso la diffusione capillare di monasteri in tutta Europa, iniziarono a gettare le fondamenta della cultura europea. Anche se con la semplice intenzione, come disse Benedetto XVI in un discorso del 2008 al Collège des Bernardins, di “quaerere Deum”, cercare Dio.

IL TEMA E LE RAGIONI DEL FESTIVAL

Quest’anno il tema sul quale le opere in gara dovranno confrontarsi sarà “Alla ricerca dell’altro, la compassione”. Un’occasione per “raccontare la fatica, la pratica che permette alla Verità di emergere, quella luce nascosta, sepolta, imbrigliata nell’umano” sottolineano i promotori: “Se ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che ci circonda, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. E l‘austerità è rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio”. “Noi siamo convinti che l’incontro con l’altro generi inevitabilmente la metamorfosi“ dice il direttore artistico della rassegna, il regista e attore Fabio Sonzogni: “Quello che siamo riusciti a fare in questo luogo è stato togliere la mondanità: i personalismi, i personaggi… La cosa che vorremmo accadesse è far tornare questi monasteri alla loro vecchia origine, cioè quella di centri di cultura. Bisogna far capire che già dodici secoli fa San Benedetto parlava di cultura: lui ed altri sono partiti dall’Italia per andare a costruire l’Europa, che significa che c’era una volontà dinamica di andare verso l’altro. E ci sono tanti linguaggi per indicarlo: uno di questi è il cinema”.

LA COMUNITÀ MONASTICA OSPITANTE DELLA RASSEGNA

La Comunità Monastica di Siloe è una comunità di monaci laici che si rifanno alla tradizione benedettina e che, giunti in Toscana dopo avere abbandonato venti anni fa l’Abbazia di Casamari, nel frusinate, grazie all’apporto della diocesi e di alcuni filantropi legati al territorio hanno costruito mattone per mattone uno splendido edificio monastico, cresciuto assieme alla loro stessa spiritualità. “La prima cosa che abbiamo tolto da questo terreno era il letame, che forse simboleggiava un po’ quello delle nostre vite” dice scherzosamente Fra Roberto Lanzi, monaco della Comunità di Siloe: “Poi piano piano abbiamo cominciato a costruire, e ricostruire“. Oggi invece “vediamo tante persone dal volto sfigurato dal tempo dalla modernità, per i problemi relazionali che si vivono, le relazioni umane che feriscono. Marc Augè dice che il dramma della modernità è che abbiamo costruito dei non-luoghi relazionali, che cioè ci consumiamo in un rapporto usa e getta senza mai arrivare nella profondità di ciascuno. Consumiamo rapporti ma non relazioni, oppure relazioni sbagliate che poi feriscono. È su questi temi che si centra anche il festival, partendo dal linguaggio cinematografico”. Il cinema infatti, prosegue Fra Roberto, “è un’arte che scandaglia i territori dell’umano, ma questo è il lavoro che fa anche il monaco, cioè attraversare i territori dell’umano, cercare di decodificarli e di dargli un nome, e di raccontarli, anche a noi stessi”.

GLI OSPITI E I FILM IN GARA

Nel corso delle due giornate di Festival, l’ospite speciale sarà l’attore Salvatore Striano, uscito da poco nelle librerie con “La tempesta di Sasà” (Chiarelettere), noto al pubblico per aver recitato in film come Gomorra di Matteo Garrone o il più recente Cesare deve morire, ma anche per il suo passato burrascoso che, dall’interno del carcere spagnolo di Valdemoro o di quello italiano di Rebibbia, lo ha portato a studiare Shakespeare e la recitazione prima, e in seguito lo ha fatto sbarcare sul grande schermo. Ci sarà poi il filosofo Umberto Curi, con il quale indagare la tematica del Festival, oppure il poeta e scrittore Franco Marcoaldi, firma di Repubblica, che darà vita a un reading musicale. Tra i film in gara, in tutto 12 e da quest’anno internazionali (cinque italiani, tre tedeschi, uno russo, uno spagnolo, uno inglese e uno tedesco in lingua araba), ci sarà Alessandro Capitani vincitore del David di Donatello 2016 con “Bellissima” e Cristina Ki Casini vincitrice del Globo d’oro 2016 con “Tra le dita”.

IL SENSO E LE SFIDE DEL MONACHESIMO OGGI, NELLA MODERNITÀ

“Monos significa persona dalle identità unificate” continua Fra Roberto parlando delle ragioni che hanno portato all’ideazione del Festival: “Ma prima di arrivare all’identità unificata c’è tutto un navigare, conoscere, viaggiare”. Come accade al cinema, inteso come arte maieutica della conoscenza e della rappresentazione del sacro: “Prima di identificare bisogna infatti conoscere tutti i volti poco attenti che ci sono dentro di noi. Magari volti anche della bruttezza, prima che però emergano in tutto il loro splendore”. In questo passaggi di Fra Roberto si ritrova anche tutto il senso del monachesimo nella società attuale: “Noi monaci ci sentiamo appartati ma non separati, e cerchiamo ponti con il mondo. Questi però si possono costruire solo se si ha una propria identità, altrimenti si va nella società liquida, dove tutto fluisce, si mescola e viene trasportato. Che non è per forza negativo, ma è ciò che caratterizza la cultura di oggi. Il positivo perciò non è arroccarsi nella propria inamovibilità: appunto perché si hanno delle certezze che ci si deve scontrare con il mondo. Ci si può mescolare solo se si ha una propria identità, che si afferma, nella molteplicità”.

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