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Come e perché gli Stati Uniti hanno bombardato Isis in Libia

Fayez Serraj, Libia, trenta

Lunedì gli Stati Uniti hanno bombardato per la prima volta lo Stato islamico in Libia con l’autorizzazione del governo di Tripoli. Il New York Times scrive che così facendo “gli Usa hanno intensificato la guerra contro l’IS”.

LA SITUAZIONE A SIRTE

Il governo del premier Fayez Serraj, sostenuto dall’Onu e dall’Occidente, aveva nelle settimane precedenti chiesto a Washington un aiuto diretto nella lotta all’IS (queste relazioni diplomatiche erano state tenute segrete). Evidentemente Tripoli aveva valutato necessario sbloccare lo stallo della campagna di riconquista lanciata più di due mesi, con un migliaio di baghdadisti ancora assediati e combattivi in una porzione di Sirte, la città costiera che un tempo era la “fiorente” roccaforte dell’organizzazione (che adesso, secondo un rapporto di Human Right Watch, è stata devastata dagli occupanti, creando migliaia di profughi). Le milizie misuratine, che sotto l’ordine più o meno diretto di Serraj hanno condotto l’operazione, dopo i primi giorni in cui hanno conquistato territorio con grossa rapidità, sono da settimane impantanate tra strade disseminate di ordigni esplosivi, che rendono ogni passo un incubo, e i contrattacchi kamikaze degli uomini del Califfato. Il bilancio provvisorio parla di oltre 300 morti e più di duemila feriti, una cifra insostenibile per il flebile governo Serraj (che va sotto il nome di Gna, acronimo di Governo di accordo nazionale, anche se ancora manca dell’avallo definitivo), a caccia di consensi. L’obsoleta aviazione libica non riesce a colpire con la precisione e l’efficienza necessaria il nemico – notano gli analisti – ed è per questo che Tripoli ha chiesto un aiuto tattico-strategico. Dietro all’intervento aereo americano si cela però anche un rischio politico per Serraj, che gode di uno spazio di appoggio (politico e popolare) molto limitato, e che ora i libici potrebbe vedere come ulteriormente indebolito per la richiesta d’aiuto esterna.

L’ULTIMO PRECEDENTE

L’ultimo raid aereo americano ufficiale risaliva a febbraio, quando due F15 colpirono un campo di addestramento di Sabratha: era stato dopo questo bombardamento, diretto contro la struttura in un momento in cui era ospitato anche un leader locale che aveva avuto un ruolo centrale nell’organizzare gli attentati del Bardo e di Sousse nella vicina Tunisia, che si era scoperchiato una sorta di vaso di Pandora. Finora lo Stato islamico nella città occidentale aveva avuto un ruolo più ovattato, si era mosso lontano dai riflettori ed era stato quasi tollerato dalla sicurezza locale, che aveva come principale obiettivo mantenere l’ordine e partecipare alle azioni di contrasto alle fazioni orientali. Poi, spinti dall’azione americana, la polizia libica aveva avviato rastrellamenti e arresti: durante una di queste operazioni rimasero coinvolti i quattro italiani rapiti lo scorso anno e finiti in mano ai baghdadisti, due dei quali persero la vita. Il bombardamento di Sabratha del 19 febbraio può essere considerato l’inizio delle attività di contrasto libiche allo Stato islamico, culminate con la campagna su Sirte e arrivate al punto in cui gli Stati Uniti hanno dovuto aumentare il coinvolgimento diretto.

LE DICHIARAZIONI

Il portavoce del Pentagono Peter Cook ha spiegato che “gli Stati Uniti continueranno a colpire ISIL (acronimo usato in America al posto di Isis, ndr) a Sirte”, e cioè questi bombardamenti di lunedì sono l’inizio di una missione in cui i raid non saranno più un evento singolo, ma avranno un ritmo continuo; ossia, gli americani hanno ufficialmente aperto un terzo fronte, dopo Siria e Iraq, nella lotta al Califfato. La Casa Bianca ha autorizzato direttamente gli attacchi, su richiesta del segretario alla Difesa Ash Carter. “Il presidente è stato chiaro che lui negherà qualsiasi rifugio sicuro per gruppi come ISIL o qualsiasi gruppo che cerca di farci del male”, ha detto il viceportavoce della Casa Bianca Eric Schultz: “Gli attacchi visti sono coerenti con questo approccio”. Per il generale Joseph Dunford, il capo dello stato maggiore congiunto, l’intervento americano sarà “un’azione militare decisiva“. Politicamente la vicenda si porta dietro uno strascico polemico, legato anche e soprattutto alla fase elettorale, perché la decisione di aprire questo nuovo fronte non è stata ratificata dal Congresso, ma Barack Obama ha utilizzato l’Authorization for the Use of Military Force (AUMF) studiato nel 2001 contro al Qaeda per emanare l’ordine esecutivo.

LE MISSIONI CONTINUERANNO

Non saranno impiegate truppe di terra, ha annunciato il Pentagono, rispondendo anche alle pressioni che da mesi chiedono chiarezza sul coinvolgimento di team di forze speciali, schierate anche nell’area di Bengasi, insieme a omologhi inglesi, francesi e pare anche italiani (dove stanno mantenendo contatti con le milizie della Cirenaica, anche se ufficialmente queste sono forze che si oppongono al governo di Serraj, che i governi di Parigi, Washington, Londra e Roma, sostengono politicamente). Le missioni aeree “non usciranno dall’area di Sirte” ha detto Cook, e saranno svolte da velivoli con o senza pilota. Da tempo aerei spia statunitensi decollano dalle basi siciliane per raccogliere dati di intelligence, individuare obiettivi, creare una lista di possibili target da sfruttare appena possibile: quella possibilità s’è concretizzata nei raid di lunedì; si può supporre che alcuni dei velivoli senza piloti utilizzati nei bombardamenti siano partiti da Sigonella, secondo un accordo che Washington ha stretto con Roma mesi fa e che a giorni dovrebbe essere operativo.

IL RUOLO DELL’ITALIA

La Farnesina ha diffuso una nota in cui scrive che “l’Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati Uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia”. Questa posizione, con il possibile coinvolgimento diretto dell’Italia come supporto logistico ai caccia americani, potrebbe esporre ulteriormente il nostro paese agli attacchi terroristici dello Stato islamico. La propaganda dei baghdadisti è continuamente avvolta di immagini che riguardano città italiane come prossimi target. La scorsa settimana queste minacce hanno fatto un balzo in avanti: in un nuovo video la Provincia di Tripoli dell’IS, dopo settimane di silenzio, ha accusato apertamente le figure chiave del governo di Roma (il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni) e la politica estera italiana di sostenere il fragile governo Serraj e le milizie misuratine che combattono il Califfato a Sirte; ora a questo andrebbe aggiunto il sostegno agli Stati Uniti nei bombardamenti.

Video di questo genere sono stati più volte diffusi contro i governi di Francia, Arabia Saudita, Turchia e America, che sono tutti paesi colpiti da attacchi terroristici diretto o ispirati dall’IS.

 

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