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Lia, ecco cosa si agita nel nuovo vertice del fondo sovrano della Libia

Fayez Serraj, Libia, trenta

Mentre le forze fedeli al governo sotto egida Onu di Tripoli sono sul punto di sconfiggere definitivamente lo Stato islamico a Sirte, anche con l’aiuto dei raid aerei americani (e forse di qualche consulente militare occidentale a terra), le controversie in Libia riprendono la nota china dell’Est contro Ovest.

CAMBIO AI VERTICI DELLA LIA

Ultimo campo di scontro politico (prima che i pozzi lo diventino anche militare) è il fondo sovrano meglio conosciuto con l’acronimo LIA, che sta per Libyan Investment Authority. Da pochi giorni è stato deciso un cambio ai vertici con il decreto 115/2016 di Fayez Serraj, o come ormai lo definisce il principale dei giornali libici, il Libyan Herald, colui che “guida il Pc/Gna”: il “Pc” è il Consiglio presidenziale, struttura di cui Serraj è presidente e che ha alcuni poteri esecutivi secondo l’accordo Onu Lpa (Libyan Political Agreement, siglato a dicembre scorso in Marocco), mentre il “Gna” è il Governo di accordo nazionale, che diventerà tale – ossia un governo – solo dopo il voto di legittimazione da parte del parlamento HoR, auto-esiliatosi a Tobruk; le scelte semantiche sono importanti, fino a pochi mesi fa ci si riferiva a Serraj come “premier”, poi lo stallo che viene dal’Est e la sua incapacità di sbloccarlo lo hanno riportato indietro. Il Pc ha comunque piazzato ai vertici della LIA un board composto da cinque persone, di cui Ali Mohamed sarà il presidente, AbdulAzeez AliAlhadi KaabarKhalid AltaherAhmed Ammar saranno i membri. Si tratta di un comitato direttivo ad interim che agirà in qualità di presidente e consiglio di amministrazione, avrà pieni poteri nel seguire le controversie legali, ma non potrà spostare fondi o procedere con nuovi investimenti. I 67 miliardi di dollari stimati nel salvadanaio statale libico resteranno dunque fermi, per lo più congelati dopo la rivoluzione del 2011, anche per evitare che diventassero strumento di arricchimento per l’una o l’altra parte. La decisione presa dal Consiglio presidenziale è stata accolta favorevolmente da Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, e Stati Uniti, che hanno diffuso un comunicato congiunto. La nota diplomatica occidentale è prassi dovuta non solo per dimostrare sostegno al traballante Serraj, ma più che altro perché questi stati sono altamente interessati alla situazione in Libia per via che il fondo sovrano ha investimenti importanti in aziende del proprio paese: per esempio, in Italia la LIA possiede quote variabili tra l’uno e il due per cento di Unicredit, Eni, Fca, Enel, Fiat-Chrysler, Leonardo Finmeccanica, tra gli altri.

I CONTENSIOSI APERTI

Giovedì 11 agosto Hassan Bouhadi, nominato presidente del fondo nel 2014 dall’allora unico-legittimato parlamento (l’HoR) e governatore riparatosi negli uffici di Malta, ha presentato le proprie dimissioni, ma pare, stando alle fonti del Libyan Herald, che in precedenza sia stato arrestato a Bengasi (dove si trova la sua famiglia) dalla polizia locale inviata con 15 veicoli e armi in pugno da colui che ancora rivendica di essere il primo ministro della Libia, Abdullah al Thinni, e poi forzato a partecipare a una riunione in cui Ali Shamekh è stato nominato al suo posto dai cirenaici. La complicazione e il ruolo di al Thinni sono dovuti al meccanismo di nomina presidenziale interno alla LIA, dove il consiglio di amministrazione che sceglie il presidente fa capo al primo ministro, ruolo rivendicato da al Thinni come legittimo premier prima dell’avallo definitivo del parlamento HoR sul Gna di Serraj (sotto quest’ottica la nomina del board di gestione è una forzatura). Al Thinni gioca di sponda con il macchinatore politico della Cirenaica, Agila Saleh, il presidente dell’HoR che ha preso in ostaggio il parlamento e ne boicotta ogni assise per evitare il voto su Serraj; il trio è chiuso dal braccio armato della questione, il generale Khalifa Haftar, che persegue gli obiettivi militari della Cirenaica (su tutti pesano gli interessi egiziani). Pare che Bouhadi fosse entrato in collisione con l’HoR che gli chiedeva di prendere decisioni che avrebbero portato interessi all’Est, ma che non erano consentite dagli accordi sul fondo. Bouhadi, che Serraj aveva momentaneamente confermato al suo posto circa sei mesi fa, era anche protagonista di una causa per la titolarità della leadership contro Abdulmagid Breish, ex presidente del consiglio di amministrazione e messo a capo della LIA dall’ex Tripoli Salvation Government nel 2013, governo ora de-materializzato dall’arrivo di Serraj; Breish sostiene che nonostante l’incarico di Bouhadi sia stata successivo una decisione della corte di appello libica lo avrebbe reintegrato e continuerà a giocare da terzo incomodo. Il board che il futuro premier libico ha nominato al vertice del fondo avrà il compito di gestire questa complicata situazione a tre, seguendo anche questa vicenda giudiziaria – su cui comunque la magistratura inglese (la causa si svolge a Londra) ha già messo un freno: nessuno è legittimo, lo sarà chi decide il Gna – e un’altra più grossa e gravosa: la LIA ha fatto causa a Goldman Sachs e Société Genérale per tre miliardi di dollari, perché le due banche di investimento avrebbero proposto ai libici movimenti finanziari rischiosi facendo perdere del capitale al fondo (anche questa causa si svolge e Londra). Tra le accuse, la possibile corruzione di alcuni dirigenti della LIA, che avrebbero accettato regali da parte di funzionari delle banche interessati a piazzare titoli derivati, che poi con la crisi del 2008 si sono rivelati un pozzo di perdite per Tripoli.

 

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