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Robinù a Melito: rutti conformisti e crani con la fossetta

Mentre Michele Santoro è nelle sale cinematografiche con il docu-film Robinù, un giudice di Torino, a giorni, dovrà esprimersi sui resti del presunto brigante Villella. Due rutti conformisti e un cranio. Pura coincidenza.
Il primo è un rutto cinematografico. Il Sud povero e degradato sforna giovani che sono la brutta copia dei guappi di un tempo. I giovani, che rimangono al Sud, quelli che non hanno la fortuna e la possibilità di scappare, sono peggiori dei briganti, veri e presunti, perché remixati dentro “Uomini e Donne” della De Filippi con, nelle orecchie, le litanie de A’ Femmina Boss, uno dei tanti capolavori neomelodici. Brutti e abbruttiti, non hanno alcuna estetica e vivono ciondolando in luoghi privi di qualunque cura. Terzo stato in terzo paesaggio.

Il secondo è l’esito di una trafila giudiziaria iniziata alcuni anni fa quando il Sindaco del comune di Motta Santa Lucia in Calabria ha rivendicato le spoglie, nella fattispecie il cranio, del brigante Villella che invece qualche professore universitario torinese voleva inserire in un nuovo museo di antropologia criminale. Se Lombroso si sbagliava in punta di scienza a correlare e inferire una fossetta cranica quale elemento distintivo di una certa propensione a delinquere della gente del Sud, in punta di sciccaggine il giudice di Lamezia Terme su istanza del Sindaco di Motta Santa Lucia, a sua volta ispirato da due esimi neoborbonici, rivendicava le spoglie del blasonato conterraneo per sottrarle alla razzista esposizione travestita da testimonianza di statistica sociale. La verità sconcertante è che Villella non fu brigante ma un semplice ladro di due capretti, una forma di cacio e due ricotte.

La maggior parte di coloro che parlano di Sud, al Sud non ci sono nati, non ci hanno vissuto e non ci sono neppure mai andati. Bisogna farsela tutta questa penisola in macchina per capirla un poco. Si scoprirebbe che perfino in Calabria, che è talmente Sud da non meritare nessun docu-film, ci sono città perfette come Rende da sembrare un Cantone Svizzero. La Svizzera perdonerà l’allusivo accostamento del supereroe della garanzia nostrana con quella che è il quartier generale della più grande organizzazione criminale d’Europa.
Si scoprirebbe che l’autostrada migliore d’Italia è la Salerno – Reggio Calabria. Finita, tutta dritta e col manto stradale che pare il fondoschiena d’ebano della più sinuosa top model. Superba opera d’ingegneria scampata alle mille difficoltà orografiche e appaltatorie.
Provate a passare da Firenze, invece, tra i poggi dove Sting riesce a ficcare per sette ore di fila – mischina lei -. Provate a passarci, se avete il coraggio, in un’ora di punta. Vi toccano sette ore pure a voi. Con il cambio in mano, però. Su e giù, su e giù. Prima e seconda. Troverete i Santi in processione bestemmiati dagli automobilisti in coda all’autogrill. Per prendere la panoramica o la pluri-inaugurata Variante di Valico, per chi viene da Roma e procede in direzione Nord, si tratta di ridursi a calcoli biliari e farsi espellere. Ecco cos’è l’autostrada del signor Sì, signor premier. Una via urinaria scattata a sangue.

La retorica che pompa sulla valvola a farfalla dell’emigrazione, acceleratore di morte di mezza Italia, ha tutta la letteratura caina a disposizione. Dal Gattopardo fino a Tornatore è tutto un “Vattene”, un “bisogna però farli partire quando sono molto, molto giovani: a vent’ anni è già tardi”. Non c’è Lombroso peggiore che quello autoctono infatti.

E così a Palmi la popolazione nel giro di pochi anni è scesa di due mila unità. Al Sud, l’emigrazione decima la popolazione più di un terremoto.

Già, il terremoto. Giusto in questi giorni in cui riaprono le scuole, ad Amatrice ci si commuove di fronte alle dieci aule colorate e addobbate di tutto punto. Aule che, seppur nella precarietà della prefabbricazione, sono quasi più belle di quelle che sono costrette a rimpiazzare. Sono un presidio di comunità. Sono un “luogo”. Le dieci aule sono state realizzate in tempi record dalla protezione civile del Trentino. E il nome della regione autonoma più settentrionale d’Italia campeggia all’ingresso dell’area scolastica. Un marchio di efficienza e pragmatismo. L’Italia che pancia a terra fa e non chiacchiera – anche perché il tedesco non lo capirebbe nessuno – è l’Italia che realizza e permette tutto questo. Insomma i trentini sembrano come il porcellino grassottello che da riparo al porcellino grassissimo.

E siccome ormai la questione meridionale è finita in gastrite, i rutti si moltiplicano. Giusto qualche giorno fa, La Stampa ha raccontato l’epilogo di una brutta vicenda tutta calabrese. La scarsa partecipazione della popolazione di Melito a una manifestazione di solidarietà nei confronti di una ragazza che è stata straabusata da un gruppo di “uomini” del posto.
I protagonisti sono un po’ di Robinù e, suo malgrado, la giovane donna che in Calabria il burkini l’ha indossato con la “r” moscia.
Sulla rete, esimi commentatori hanno preso le distanze dalla comunità calabrese di Melito. La Calabria, infatti, è “Calabria”. L’Italia è altro. È peggio di una vignetta di Charlie Hebdo la Calabria. Gli stessi esimi commentatori sarebbero stati pronti all’indulgenza verso una brillante vignetta del giornale satirico parigino che magari avrebbe schizzato – proprio il caso di dirlo – la giovane donna che paga i suoi stupratori – perché del resto un po’ se la sarà cercata – invece di sentirsi almeno parte del problema.

Scappare dal Sud inizia a non convenire più. Perché una volta laureato, quando scopri che ti tocca fare l’impiegato a Roma e prender a malapena 1200 Euro al mese per abitare al capolinea della metro B (schifiu); beh forse ti conveniva rimanere dov’eri. Con 400 Euro e la casa dei tuoi era vita di lusso a confronto. Casa e putia, altro che venti stazioni della metro a deodorarsi di tutta la multietnicità globale.

Scappare dal Sud inizia a non convenire perché quella ragazza stuprata poteva essere tua sorella. Sola dentro a un degrado che è umano. Dove la vita umana non conta nulla. Perché tu e tutti quelli come te che hanno un poco di scuola avrebbero potuto capire di più da un silenzio di lei. Potevi trattarla da donna, potevi trattarla con rispetto. Farla sentire più forte. Potevi renderla più sicura al punto che di fronte alle bestie avrebbe avuto la stima in sé stessa necessaria per difendersi. Per non farsi umiliare.

Scappare dal Sud non conviene perché per un fratello che parte, studia, esce e riesce, c’è n’è sempre uno che non esce e che male finisce. Uno dei tanti Robinù che pensa che al Sud, a differenza del Trentino, basti solo un poco di malandrineria per comandare e fottersi tutti. I capi bastone e i calatesta. Che pensa che un giorno grazie a un telefonino e a un macchinone, come fu con i capretti e le ricotte per Villella, un Lombroso di turno lo elegga a brigante. Tant’é.

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