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Cosa pensano Bentivegna, Diletti, Dassù e Latella del primo dibattito Clinton-Trump

Roberto Arditti e Maria Latella

Una battaglia appassionante che vede opporsi una straordinaria professionista dell’arte misteriosa e complicata della politica e un eccentrico outsider che veste i panni dell’oppositore a tutto e a tutti. Ieri, all’Istituto per i Beni Sonori ed Audiovisivi si è parlato del dibattito presidenziale Usa 2016. “Un dibattito vivace, meno paludato e più moderno del solito, vicino al formato di un talk tv. Hillary era in forma, ha dimostrato grande capacità di tenere testa al suo avversario”, ha detto subito il giornalista Roberto Arditti, che ha moderato l’incontro organizzato dal Centro Studi Americani e dal CISPEA.

COSA HA DETTO LA PROF. BENTIVEGNA

Il formato talk ha agevolato i candidati? Chi ne è uscito vincente? Questo primo dibattito avrà conseguenze sulla campagna e sul voto? “Il formato è stato meno ingessato del solito, perché i tempi non sono stati rispettati in modo rigido. Ma la vera innovazione sarà nel prossimo match, il 9 ottobre, quando verrà adottato il formato del town hall, che prevede metà della domande poste dal pubblico in sala e l’altra metà dal moderatore, che potrà intervenire. Sarà più innovativo, ma anche più pericoloso per la Clinton”, ha detto Sara Bentivegna, docente Teoria della Comunicazione e Comunicazione politica, La Sapienza, aggiungendo: “Al di là dei dati dei sondaggi del giorno dopo, o del giudizio dei media, i dibatti non si vincono, ma non si devono perdere. Ci si aspettava che Trump facesse più il bullo – invece si è contenuto, e da questo punto di vista è stato un successo per lui – e che Hillary interpretasse la secchiona, ruolo da cui è in parte uscita nel dibattito di lunedì. Di contro, però, non ha approfittato a dovere di una affermazione che aveva le potenzialità per diventare una sorta di tormentone. Clinton a un certo punto dice a Trump: “Vivi in una realtà tutta tua”. Poteva essere una mossa vincente ribadirla più e più volte, ma se l’è lasciata sfuggire”.

IL GIUDIZIO DI DASSU’

Marta Dassù, Senior Director European Affairs dell’Aspen, divide in due parti la performance di Trump: positiva nei primi venti minuti, estremamente negativa dopo, quando il candidato cade in una serie di imprecisioni sugli accordi commerciali e la politica estera: “Mi ero fatta l’idea che il dibattito fosse equilibrato, perché nei primi venti minuti, quelli seguiti da tutti con più attenzione, Trump è stato bravo, ma è stato molto scarso nella parte finale. Secondo i media e i sondaggi, il lead è di Hillary: c’è un vincitore dunque e vedremo quanto questo inciderà sulla campagna successiva, sui dibattiti seguenti e nel voto. Trump poi gioca la carta protezionista, ma compie una serie di imprecisioni ed errori, per esempio sul TTIP. Anche sulla politica estera è in grandissima difficoltà – continua Dassù – e dice varie bugie sull’Iraq, per esempio che era contro la guerra, quando invece l’aveva supportata, per cambiare idea successivamente. Sulla Russia non si capisce cosa voglia dire; avrebbe potuto mettere in difficoltà Hillary sulla Libia, ma se ne dimentica. Dal canto suo, Clinton è sulla difensiva, perché deve recuperare l’elettorato di Sanders (donne e giovani) e, come ci si aspettava, è fortissima sulla politica estera, dato il suo ruolo di segretario di Stato. Pur dando un’impressione di grande competenza, però, se vuole vincere deve darsi in merito una mission precisa”.

L’ANALISI DI DILETTI

Anche Mattia Diletti, docente di Scienza della Politica alla Sapienza, pone l’attenzione sull’importanza cruciale dell’incipit e della narrazione, nel discorso politico: “Nel dibattito complessivo Clinton è andata meglio di Trump, ma l’inizio conta molto. Lui ha usato come strumenti di persuasione quelli che sono i suoi cavalli di battaglia sin dall’inizio della campagna – ormai negli Stati Uniti le campagne si fanno quasi esclusivamente parlando ai propri elettori. Ha usato un’argomentazione populista come: ‘Siete da 30 anni al potere e le cose vanno peggio di prima’. Trump non fa altro che mantenere il piede in questa fetta di elettorato con questa argomentazione”. Si assiste inoltre, osserva Diletti, al “confronto fra due universi discorsivi. Entrambi devono essere capaci di interpretare un canovaccio nel modo più credibile, lei in modo più razionale e lui puntando sull’emotività”.

LA VERSIONE DI LATELLA

Uno dei punti deboli di Hillary è stato evocare Bill: se di solito suscita simpatia, essendo stato il presidente in un’epoca d’oro degli Stati Uniti, in questo caso ha dato l’occasione a Trump per fare lo sgambetto alla candidata democratica, osserva Maria Latella, giornalista e scrittrice: “Donald ha approfittato per ricordare che Bill nel ’92 aveva firmato il Nafta (l’Accordo nordamericano di libero commercio), percepito dagli operai di stati come Ohio e Michigan come l’inizio della fine, perché tante aziende dopo si trasferirono in Messico. Hillary è consapevole che parlare di trattati internazionali la porti su un terreno insidioso, infatti ha virato la discussione sui college gratuiti. Dal punto di vista della liturgia, è stata gradevole la scelta di Hillary di sorridere senza sembrare rigida”. Non è famosa per il suo sense of humor e questo, dal punto di vista dell’immagine, le ha fatto recuperare terreno. “Certo è che non poteva essere un dibattito come gli altri, perché nuovi sono i due interpreti. Non anagraficamente – sono sulla scena dagli anni ’80 – ma per ciò che rappresentano: è la prima volta che una donna punta a diventare comandante in capo, e che un tycoon arriva là dove e arrivato Donald Trump”.

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