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Cosa cambierà con lo smartworking

Se diventasse realtà, incassando il voto alla Camera nelle prossime settimane, potrebbe rivoluzionare il mondo del lavoro, svincolando i dipendenti da scrivania e cartellino. Il disegno di legge sul lavoro agile ieri è stato al centro dell’incontro “Smartworking, dalle esperienze concrete fino a una nuova possibile visione del lavoro”, ospitato da Civiltà Cattolica e organizzato dal Centro studi dell’Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale), e dallo studio legale Cafiero, Pezzali & Associati.

Lo smartworking rappresenta il futuro delle risorse umane e mette in campo alcuni temi che è necessario affrontare, esordisce David Trotti, presidente Aidp Lazio: “Modifica i concetti di luogo e di orario di lavoro e per questo dovrebbe distinguersi, ma allo stesso tempo relazionarsi, con il basilare contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il ddl pone alcune domande a cui non è facile dare risposta: lo smartworker deve lavorare la domenica? Ha diritto al buono pasto? Cosa succede se subisce un infortunio? C’è anche il tema delle sanzioni disciplinari: quali condotte possono dar luogo a sanzioni, in aggiunta a quelle previste dal Ccnl? Il disegno di legge insomma, pur valido, si scontra con problemi concreti”.

Uno di questi è, secondo l’avvocato Ciro Cafiero, Studio legale Cafiero, Pezzali & Associati, che si tratta di uno smartworking “all’italiana”, cioè molto più legato ai vincoli del lavoro subordinato, rispetto a quanto accade all’estero, ma di contro questa forma contrattuale consente una riduzione dei costi fissi e una decontribuzione che lo possono rendere conveniente per le aziende, in un’epoca in cui il ricorso alla robotizzazione, che comporta notevoli risparmi, sta diventando pervasivo. “Il terziario sta cavalcando l’ondata della rivoluzione tecnologica”, continua Cafiero, “Amazon ha disintermediato il rapporto uomo-uomo e ha permesso che i consumatori interagissero con software e non con esseri umani, l’artigianato si sta evolvendo nella stampa 3D e i volumi della sharing economy sono in crescita. Bisogna arginare questi mutamenti. Lo smartworking si inserisce oggi in un quadro complesso di coesistenza di uomo e macchina, e rappresenta uno strumento capace di coniugare il lavoro umano con la tecnologia”.

Per Pierluigi Celli, Senior advisor Poste Italiane, invece, non è possibile contenere il progresso tecnologico, perché la digitalizzazione è diventata un soggetto che guida il cambiamento e non più un semplice strumento. Più che cercare di disciplinare il settore delle nuove forme di lavoro, dunque, è necessario un cambiamento di approccio, che coinvolga tutta l’organizzazione di un’azienda: “La tecnologia non ha rispetto per le regole, né per la storia, e sta dissestando le organizzazioni, quindi bisogna ragionare su come accompagnare un cambiamento che ci cade addosso, volenti o nolenti. La rottura dell’unità spazio-tempo, cioè orario e luogo di lavoro, richiede un mutamento epocale nella mentalità di chi lavora e di chi governa. Quando togli limiti, confini e frontiere, togli le sicurezze storiche, e hai bisogno di persone che lavorino in autonomia e che abbiano introiettato le mansioni da svolgere. Finora ogni livello ha controllato quello sottostante, ma se le tecnologie fanno saltare le gerarchie, e il lavoro diventa orizzontale, saltano anche i meccanismi tradizionali di controllo. Dunque il raggiungimento del risultato (l’unica cosa su cui il controllo resta possibile) è sempre più legato alla fiducia e alla condivisione degli obiettivi”.

D’accordo con Celli è Elin Miroddi, Aidp Lazio e Partner Inalto Consulting, che riconosce nello smartworking una nuova concezione del lavoro, che consiste innanzitutto nella possibilità per il lavoratore di autodeterminarsi, diventando, così, padrone del proprio tempo. “Questo può essere un fattore estremamente motivante, che può consentire all’azienda di trovare talenti nascosti. Lo smartworking porta con sè un vero e proprio cambio di paradigma”, continua Miroddi,”ridefinisce gli spazi di lavoro in funzione delle esigenze e delle attività dei dipendenti e valorizza una cultura organizzativa e manageriale basata su responsabilità individuale, fiducia, chiarezza degli obiettivi e orientamento al risultato”.

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