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Fabrizio Corona? Il condono fiscale c’è già

Fabrizio Corona

Bisognerà adottare Fabrizio Corona come testimonial dell’anti-evasione in materia fiscale. Perché – nonostante i troppi e colossali equivoci di questi giorni – la vicenda accende finalmente i riflettori sulla stratosferica stupidità del nostro sistema di contrasto, già in tempi di non-condono. Sistema che è esso stesso causa dei suoi mali. E che, come dimostra appunto il caso dell’ex agente fotografico, è già a regime che funziona da forte istigazione ad evadere.

Ora che è stato scoperto, infatti, Corona – indipendentemente dalla sanatoria in arrivo – potrà definire pagando pressappoco gli stessi soldi che avrebbe dovuto sborsare se non lo avessero beccato. E allora, in nome di che puoi aspettarti che uno si precipiti a versare, quando oltretutto la Corte dei conti ha certificato che la media delle verifiche fiscali è di un controllo ogni 30 anni (controsoffitti esclusi)?

Il gruzzolo emerso fra le mani di Corona è per metà in depositi bancari all’estero (1 milione circa) e metà in banconote (1,7 milioni). A quest’ultimo riguardo l’ex agente è nei termini per adempiere. E lo sarebbe, di fatto, se anche venisse sgamato fra qualche anno con gli stessi soldi cash. Per cui se oggi Corona paga e dichiara, nessuna sanzione tributaria potrà essergli applicata.

Questo meccanismo è sacrosanto e non ha nulla di censurabile. E’ così per ragioni tecniche, inutile fare del moralismo. Il punto, semmai, è che intervenire a cose fatte (unicamente a cose fatte) per il Fisco è già un grande autogol. Questo tipo di evasione non puoi scovarla standotene seduto dietro una scrivania. In Italia, invece, il Fisco ha il vizio di punire senza mai verificare (perché fare controlli? quando in tasca tu Fisco hai la scorciatoia delle presunzioni?).

Ciò che latita, pertanto, sono le verifiche in flagrante. Questo tipo di controlli sono molto impegnativi e forse è per questo che da oltre 20 anni essi sono scomparsi dalla prassi di GdF e Agenzia delle entrate. Pur essendo indispensabili per la collettività (è l’unica prevenzione efficace a presidio dei 400 miliardi di gettito raccolto tramite adempimento spontaneo di massa), essi non portano acqua al mulino della macchina fiscale in sé. Quest’ultima, d’altronde, si è rivelata da ultimo troppo gelosa sia nell’intestarsi i meriti degli introiti annui (solo apparentemente miliardari) da consegnare al Governo, sia, sotto altro profilo, di non farsi toccare i poteri discrezionali (alias, presuntivi) ormai esercitabili senza più limiti sul contribuente inerme.

Le ospitate, nel caso di Corona, ad esempio, non è che si svolgono in un bunker per latitanti. Eppure l’ex agente e il suo staff (come chiunque altro, qui è il problema) si sentono in zona franca, padroni assoluti del territorio. Organizzano con disinvoltura, e anche al telefono, lo scambio di soldi a nero, sicuri di essere al di sopra di ogni controllo. Ed è tutto vero, visto che sul campo di gioco reale il Fisco per loro non esiste. Tant’è che a sgamarli, prima ancora della fortuita perquisizione, ci avevano pensato i giornalisti, mica la GdF.

Ma la cosa gravissima, questa davvero troppo scandalosa, riguarda un secondo tema, ovvero quello dei meccanismi sanzionatori relativi al milione depositato in banca. Si tratta di capire a cosa vai incontro di norma se – indipendentemente da futuri condoni – vieni preso con le mani nel sacco dopo aver orchestrato un’evasione tracciata. Parliamo della forma più grave di imbroglio che si possa fare sulle tasse. Ovvero del caso in cui la GdF avrà potuto documentare che hai organizzato trucchi, raggiri, false fatture, frodi carosello, o anche ingenti versamenti a nero, eccetera. Anche qui le prospettive sono molto, ma molto incoraggianti. A favore dei delinquenti fiscali, of course.

Quel che ti aspetta, infatti, dopo che ti hanno incastrato per uno degli illeciti gravissimi anzidetti, è una sanzione agevolata, ridotta al 18 per cento della somma evasa (anziché una sanzione fino al 180 per cento). Questo sconto si chiama “ravvedimento”. Quando esso è nato serviva per spingere a pagare il dovuto dopo la scadenza, ma comunque sempre prima di essere pizzicato. E la riduzione aveva senso poiché incentivava a pagare proprio per prevenire i guai di un possibile controllo.

E invece no. Da ultimo, con un colpo di genio senza precedenti (per il quale siamo tutti grati alla legge di stabilità 2015, legge 190 del 2014, si veda qui il pezzo di Formiche.net), questo diritto al ravvedimento è stato esteso a chiunque si pente dopo aver subito un controllo, e persino dopo aver subito la constatazione e il conteggio della cifra evasa, compreso – come in questo caso – il sequestro dei conti correnti a nero (articolo 13, comma 1, lettera b-quater del d. l.vo n. 472/97). Naturalmente un siffatto meccanismo fa concorrenza sleale al ravvedimento vero, quello che per natura dovrebbe funzionare solo in via di prevenzione. E allora, anche i bambini capiscono che quando evadi conviene aspettare che ti beccano. Perché ravvedersi prima? Anzi, perché non evadere?

Tornando alla vicenda Corona, pertanto, se anche il Fisco riuscirà a documentare carte alla mano che il milione di euro proviene da guadagni mai dichiarati in anni passati, nessuna autorità potrà togliere all’ex agente fotografico, condoni a parte, il diritto a ravvedersi nel corso delle prossime settimane. Basterà pagare una sanzione che, nella peggiore delle ipotesi, sarà intorno al 18 per cento delle tasse evase (Irpef/Ires, Iva, Irap). La sanatoria sui contanti o, di più, sui frutti documentati della peggiore delinquenza fiscale, dunque c’è già. E’ a regime. Per questo la nuova sanatoria in arrivo non serve a nessuno e di sicuro sarà un flop.

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