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La cena-tipo negli ospedali è una follia nutrizionale. Parola dell’oncologa Di Fazio

di fazio, ricette

A molti di voi sembrerà un paradosso. Non lo sembra: purtroppo lo è. Consiste nell’amara constatazione che uno dei peggiori “luoghi comuni” alimentari è rappresentato proprio dalla cena-tipo che nel 99,9% dei casi viene data ai degenti in ospedale. Vorrei che direttori sanitari e amministrativi delle case di cura, ma ancor di più il ministro della Sanità mi ascoltassero: il tradizionale menù delle cene ospedaliere è quanto di peggio si possa dare da mangiare anche a una persona sana. Figuriamoci a un malato!

Per fortuna c’è chi a queste cose ci pensa, come ha fatto l’Artoi (Associazione per la ricerca di terapie oncologiche integrate, della quale faccio parte) che ha stilato e presentato all’Unione Europea quello che dovrebbe essere il modello di dieta ideale per il malato ospedaliero e per il bambino. Sorvolerò, quindi, sulla pizza o sul piattone di spaghetti come abitudine serale di chi per sua fortuna non è ricoverato. Non me ne occuperò, limitandomi tuttavia a dire che si tratta comunque di un genere di cena che caldamente sconsiglio a tutti, sani o malati, quantomeno come menù abituale. Facendo sempre salvo, è ovvio, l’innocente strappo di una volta ogni tanto, i piattoni di pasta e le pizze riservatele al pranzo. Sarà molto meglio.

Il motivo consiste nell’eccessivo carico di zuccheri apportato dai carboidrati e nella loro difficile digeribilità notturna. Se poi ai carboidrati aggiungerete, come ho già detto, della frutta o, ancor peggio un dolce, il picco glicemico partirà pericolosamente per la tangente. A chi non mi credesse, suggerisco una controprova: avete dormito male, di recente? Avete sofferto di gonfiore intestinale e all’indomani vi siete svegliati male? Bene, cercate di ricordarvi che cosa avevate mangiato la sera precedente. Nove volte su dieci, sono pronta a scommetterlo, nei vostri piatti della sera prima c’era una forte dose di carboidrati, magari conditi con sughi e grassi. Seguiti appunto da frutta o da una porzione di dolce. Provate a ricordare…

Per ora mi limito a lasciare quella libertà di “strappo” a chi, per sua fortuna, non è malato né ricoverato. Ma punto invece il dito sull’apparentemente innocua pastina in brodo che nella stragrande maggioranza dei nosocomi, sia pubblici sia privati, viene inspiegabilmente servita come un intoccabile must alimentare ai poveri malati. In verità è soltanto un must di tipo contabile, nel senso che fa bene unicamente ai bilanci: tanta acqua, un po’ di dado e un pugnetto di pastina. Costo irrisorio, insomma. Si tratta oltretutto di una pietanza che molte persone, specialmente anziane, replicano la sera anche a casa loro, magari convinte che essendo servita negli ospedali debba fare loro un gran bene. Non è così, non lo è per nulla.

Ascoltatemi, ve lo assicuro: i carboidrati alla sera, pane compreso, vanno dimenticati. Anche se vengono cucinati in brodo, perché non penso che, né a casa né tantomeno nelle mense, venga fatto con un altro ingrediente che non sia il dado. Con tutto quello che il dado contiene. Ripeto: la pastina in brodo sarebbe un cibo da bandire, da cancellare senza esitazione. E pensare che questa viene denominata “dieta leggera”. Restando in ospedale, non è tuttavia finita qui. La cena tipo dei degenti prosegue infatti, di norma, con una porzione di stracchino o di altro formaggio che, oltre al suo “naturale” carico di grassi, di lattosio, di caseina, di fattori di crescita e di ormoni animali incompatibili con i nostri, ha anche la caratteristica di tutti i latticini: quella di acidificarci. L’alternativa ospedaliera al formaggino? Certo che viene prevista: un piatto di prosciutto cotto. Ovvero carne di maiale, oltretutto lavorata e salata per garantirne la conservazione. Carne di maiale a cena? Ai malati? Un’autentica follia nutrizionale, per chiamarla con il suo nome, dato che in ospedale si dovrebbe andare per guarire da una malattia e non per ammalarsi di un’altra.

Tornando alla nostra tipica cena ospedaliera, potrebbe mancare a questo punto una bella porzione di purè di patate come “sano” contorno, con il suo apporto massiccio di amidi (e latte)? Certo che no, quello è l’altro must ospedaliero. Peccato che equivalga a invitare una persona a passare la notte insonne. Per esserne però sicuri – dell’insonnia e di un processo digestivo tormentato – ecco a chiusura della cena l’immancabile vaschetta di purea di frutta, autentico inno agli zuccheri.

O il peggio del peggio: la macedonia, cioè frutta mista di norma conservata in uno sciroppetto anche quello zuccherato. Perché peggio del peggio? Perché ciascun frutto ha un diverso pH (l’indice di acidità) e questo farà sì che, in fase di digestione di quanto è stato appena ingurgitato (pastina, formaggio/prosciutto cotto e purè di patate), l’intestino del povero paziente vada matematicamente in tilt, non sapendo più che cosa stava cercando di digerire. Di lì la formazione di una brutta cosa dal nome ancora più brutto: la putrescina, composto chimico organico del gruppo delle poliammine che, oltre a far marcire tutto ciò che si trova “là dentro” in quel momento, ve lo conserverà “in caldo” per le ore notturne. Favorendo così l’acidificazione e la crescita tumorale. Chiudo qui la breve parentesi dedicata alla cena-tipo ospedaliera, certa di avervi dato di che pensare.

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