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Il governo studia un’etichetta obbligatoria del grano per pasta e pane

Dopo il latte, il grano. Il governo sta lavorando ad un decreto per rendere obbligatorio in etichetta la tracciabilità dei prodotti che vengono usati per produrre il pane, la pasta e i prodotti da forno. Solo quelli integralmente italiani potranno fregiarsi di essere avere l’indicazione made in italy. Lo ha annunciato il Ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina cercando di dare risposte alla cosiddetta “guerra del grano” di cui Formiche.net si è già occupata: ovvero come rispondere al deprezzamento del cereale che primi dieci mesi dell’anno è calato del 42% con i valori della materia prima oramai ai livelli degli anni Settanta.

In pericolo ci sono 300mila aziende che coltivano un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione. Con il paradosso che da pochi centesimi al chilo concessi agli agricoltori i prezzi dei prodotti del grano come pasta e pane nei supermercati non solo non sono diminuiti ma addirittura aumentati nell’arco dell’ultimo anno.

Un’etichetta voluta dalle associazioni di categoria, promessa anche dal premier Matteo Renzi e che adesso in dirittura d’arrivo con un regolamento che sta impegnando i tecnici dei ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Agricoltura e l’obiettivo, entro fine anno, di varare il provvedimento. Una misura che renderebbe trasparente ciò che mangiamo se si pensa, ad esempio, che le importazioni dall’Ucraina di grano tenero (per il pane) sono cresciute del 315% nell’ultimo anno mentre il Canada resta in testa per le spedizioni di grano duro (per la pasta). Con il Canada che riesce ad esportare a dazio zero mentre applica una aliquota fino all’11% all’ingresso della pasta in arrivo dall’Italia sul suo territorio. Distorsioni del mercato che hanno messo in ginocchio un’intera filiera, basta ricordare infatti che l’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta con 4,8 milioni di tonnellate su una superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari, ma sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e, tutto questo, i consumatori non lo sanno.

Per questo il Ministro Martina ma anche il responsabile dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda stanno cercando di replicare quanto già fatto con i prodotti lattiero-caseari senza incorrere però in procedure d’infrazione che l’Unione Europea potrebbe decidere di aprire se venissero meno le condizioni di libero commercio all’interno del mercato comunitario.

Restano comunque scettici molti esponenti politici che in Senato qualche giorno fa hanno interrogato il numero uno del dicastero dell’Agricoltura proprio su questo tema. Come il senatore di Sinistra Italiana Dario Stefano, capogruppo in Commissione Agricoltura di Palazzo Madama: “Non basta questo manifesto di buona volontà, serve un vero e proprio cambio di passo. Il governo è chiamato a far fronte a quello che rischia di diventare un vero e proprio tsunami giallo per il nostro Paese, concentrando gli sforzi nell’individuazione di misure e processi utili a salvaguardare la salute dei consumatori e garantire la qualità della produzione cerealicola italiana”. E ha ricordato al riguardo il caso pugliese. “La Puglia, con il porto di Bari, è il più importante luogo di transito e scarico di grano importato, proveniente in gran parte da Turchia, Ucraina e Canada. Proprio con il Canada, è stato siglato, pochi giorni fa e in extremis, l’accordo CETA (Trattato Commerciale ed Economico Unico tra Unione Europea e Canada) che dispone l’abolizione dei dazi doganali sulle importazioni. Un accordo che, di fatto, elimina definitivamente quello che, fino ad oggi, poteva rappresentare comunque un deterrente, seppur debole e inefficace quando associato all’assenza di una politica di sostegno adeguata”.

Ma la trasparenza in etichetta è invece la strada maestra individuata dal governo per bloccare le speculazioni sulla pelle degli agricoltori, costretti oggi a vendere con i prezzi di trent’anni fa, e per garantire ai consumatori la salubrità di quello che arriva nel piatto.

“La crisi della filiera del grano la stiamo seguendo da diversi mesi” – ha ricordato il Ministro Martina – “Per la prima volta questo Paese si è dotata di un Piano nazionale cerealicolo con plafond di 10 milioni di euro che mi auguro possa essere incrementato già in questa legge di Bilancio”. Finanziamenti che però restano spiccioli in quanto spalmati su due anni ha ricordato il senatore di Forza Italia, Bartolomeo Amidei mentre la Lega Nord si è detta d’accordo sul processo per l’identificazione della materia di origine per il grano. “Invitiamo il governo ad accelerare sulla strada dell’identificazione della materia d’origine, considerato anche il fatto che non so quanta tutela dei nostri prodotti consentirà l’Ue, visto che questi sono i più contraffatti a livello europeo. Noi continueremo ad insistere e, se necessario, appoggeremo il governo in un eventuale contenzioso con l’Europa a tutela dei nostri prodotti, delle nostre aziende e della salute dei consumatori”, ha spiegato Guido Guidesi deputato del partito di Matteo Salvini. Segno evidente che sul made in Italy si potrebbe registrare quell’unità nazionale spesso invocata su tanti fronti ma mai di fatto realizzata. Sopratutto se in ballo ci sono i nostri prodotti schiacciati da una concorrenza spesso sleale sia sul fronte della produzione che in quella della qualità, basta vedere alla voce contraffazione.

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