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Isis rivendica per la prima volta un attentato in Turchia

Lo Stato islamico ha dato un assaggio di ciò che potrebbe essere la propria dimensione futura: un esempio per tutti coloro che dopo l’audio del Califfo Abu Bakr al Baghdadi diffuso in questi giorni hanno ragionato sui preparativi alla successione e sul futuro dell’organizzazione. Un attentatore kamikaze ha fatto esplodere la propria autobomba a Diyarbakir, città del sud turco. Il rivendico è arrivato tramite la sedicente agenzia stampa Amaq News, a tutti gli effetti organo di propaganda califfale, ed è importante per tre motivi.

IL PRIMO RIVENDICO UFFICIALE

Innanzitutto è la prima rivendicazione ufficiale di un attentato compiuto dai baghdadisti in Turchia: in precedenza in diverse occasioni c’erano state azioni terroristiche per cui i sospetti portavano dritti sull’IS e confermati anche dal governo, ma non erano mai state rivendicate prima. Da non sottovalutare: lo Stato islamico procede sempre con cautela in merito alle rivendicazioni di attentati in paesi a maggioranza sunnita, per evitare di apparire come uno sterminatore di fedeli: finora erano stati rivendicati soltanto gli assassinii diretti ai membri del gruppo attivista di opposizione al Califfato @Raqqa_SL. Parte della strategia del Califfo era però mirata anche a cercare di creare caos, incrementando l’entropia in un paese già afflitto da instabilità e divisioni etniche. E infatti, in varie occasioni, i curdi — molto spesso colpiti dagli attentati dei baghdadisti e già stretti dalla repressione governativa — avevano tirato in ballo azioni dello stato oscuro, fatto da servizi segreti collusi con elementi del mondo terroristico, usato dal governo per reprimere le opposizioni. Anche per questo a ogni attentato contro i curdi, che lo Stato islamico colpisce perché li considera nemici tattici — a tutti gli effetti, d’altronde, perché sia in Iraq che in Siria le milizie curde, anche se vicendevolmente nemiche, combattono da mesi con valore l’IS — corrispondeva in Turchia un ri-infiammarsi del conflitto interno tra separatisi e governo centrale.

IL MOMENTO PERFETTO PER AUMENTARE IL CAOS

Qui arriva il secondo dei motivi per cui è importante la rivendicazione dell’IS sull’attentato di venerdì, che ha fatto almeno 10 morti e cento feriti davanti al quartier generale della polizia di Diyarbakir (città che a tutti gli effetti può essere considerata la capitale del Kurdistan turco). L’esplosione è arrivata a poche ore di distanza dall’arresto dei leader del partito di sinistra filo-curdo Hdp; i vertici del partito hanno dichiarato che le manette imposte dal governo ai due co-segretari (l’accusa è di collaborare con i militanti curdi del Pkk) sono un tentativo di sradicare la democrazia dal Paese. Una situazione delicatissima, l’ora della guerra civile, la resa dei conti (più o meno questa la descrizione che ne fa il Wall Street Journal), all’interno della quale lo Stato islamico sì è inserito per colpire non solo direttamente gli agenti nemici curdi, ma proprio il tessuto sociale della Turchia. Fino alla rivendicazione dell’IS si è pensato infatti che l’attacco fosse opera di una rappresaglia del braccio armato del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, non nuovo a certe azioni, tanto che lo stesso primo ministro Binali Yildirim aveva annunciato subito che le prove raccolte portavano a loro (nota: è improbabile che il rivendico dell’IS sia falso, anche perché di solito i combattenti curdi rivendicano a loro volta i propri attacchi, e dunque i baghdadisti non hanno intenzione di correre il rischio di passare da cialtroni, soprattutto in un momento delicato come attuale, in cui si stanno anche giocando la faccia verso i proseliti e per il futuro).

SEGUIRE LA LINEA BAGHDADI

Da qui, il terzo aspetto: l’attentato arriva nei giorni immediatamente successivi a quell’audio del Califfo, diffuso dopo mesi di silenzio: Baghdadi, chiedendo ai suoi miliziani di resistere, invitava a colpire proprio la Turchia (e l’Arabia Saudita). Il motivo dell’ostilità di Baghdadi è legato alle attività militari turche in corso contro lo Stato islamico: nella narrativa del Califfo la Turchia è considerata un paese traditore, perché appoggia le operazioni occidentali. Dal 24 agosto una forza combattente composta da un gruppo di ribelli siro-turcommani e alcune forze speciali dell’esercito regolare di Ankara (appoggiati da mezzi corazzati, artiglieria, da poco rinforzati, e cacciabombardieri) stanno portando avanti una missione, denominata dalla Turchia Scudo dell’Eufrate, con la quale hanno liberato centinaia di chilometri quadrati dall’occupazione militarista del Califfato; quotando fonti dell’esercito, la Reuters scrive sabato che 71 obiettivi dello Stato islamico nel nord siriano sono stati colpiti dai turchi nelle ultime ore.

LA GUERRA TRA CALIFFO E REIS

Durante l’operazione Scudo è caduta anche Dabiq, una città a nord di Aleppo considerata dall’epica narrativa califfale il luogo di uno scontro apocalittico contro le forze infedeli (e invece). Contemporaneamente in questi giorni stanno prendendo spazio le segnalazioni online di lunghi convogli di armamenti e soldati che si stanno dirigendo verso Silopi, un città turca che si trova al centro di un distretto amministrativo che fa da cuneo tra il territorio turco, quello siriano e quello iracheno.

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Non è ufficiale il motivo dell’ammassamento di truppe in quest’area, ma è presumibile che Ankara la consideri una buona posizione logistica per agire contemporaneamente in Siria, dove tra poche settimana partirà la campagna su Raqqa (roccaforte del Califfato) e in Iraq, dove è in corso la missione su Mosul, operazione raccontata minuto per minuto dai media verso la capitale dello Stato islamico, dalla quale il governo turco ha già dimostrato di non volersi escludere. In entrambi i campi, inoltre, le attività di Ankara possono avere una triplice valenza, perché mentre combatte il Califfato, la Turchia si mette in mezzo alle pretese curde in Siria e controlla i militanti del Pkk rifugiati al nord iracheno, e contemporaneamente gioca un ruolo di primo piano nel futuro della regione. Costo: attacchi come quello di Diyarbakir. Il Califfo ha dichiarato guerra al Reis turco (“Reis” è un’espressione rubata al titolo del libro della giornalista inviata in Turchia Marta Ottaviani). Conseguenze (sulla linea che si diceva prima), tra gli account Twitter curdi circolano di nuovo ricostruzioni laterali sul fatto che Recep Tayyp Erdogan stia tessendo trame utilizzando collusi tra lo Stato islamico per compiere una pulizia etnica contro i curdi. Si tratta di questioni per niente verificabili, anzi i fatti parlano di una situazione opposta, eppure prendono fiato, destabilizzando ancora di più il paese. E forse Diyarbakir e le sue conseguenze sono uno dei primi assaggi di quella che sarà la futura guerra clandestina globale dell’IS, destituito del potere statuale califfale, ma intenzionato a non perdere la propria forza di destabilizzazione.

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