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Vi racconto due storielle di ottusa burocrazia nel Lazio

Il prossimo referendum è un banco di prova tra chi vuole l’Italia della burocrazia terzomondista e chi vuole per davvero far entrare il paese nell’euro. Il caso delle regioni è forse il più eclatante: una burocrazia di secondo livello, costosa e poco efficiente dove la selezione dei dirigenti non è quasi mai stata fatta per concorso o per meritocrazia ma sempre per vie politiche. I risultati sono tutti a carico della competitività delle imprese italiane. Il caso del Lazio è tra i più emblematici e quello che meglio di tutti spiega perché rottamare le regioni con il referendum è cosa buona e giusta.

Storie vere dal campo di battaglia tra il mondo dell’impresa che vuole produrre sviluppo e occupazione e la cultura della burocrazia arroccata sul cavillo e su condotte perfino illegittime. La gestione dei bandi con fondi europei per favorire la ricerca e la competitività delle imprese della Regione Lazio sono ancora una volta l’epicentro dello scandalo.

Storia numero uno: bando co-research aperto nel 2010. Arriva una telefonata di una funzionaria di LazioInnova circa diciotto mesi dopo aver chiuso e sottomesso tutta la documentazione con gli investimenti del progetto e viene chiesto: “Per quanto riguarda le spese fatte con organismi di ricerca deve produrre la relazione delle università”. Viene fatto notare che il bando ed il regolamento non prevedono questo adempimento. “ C’è, invece, nel regolamento adesso le dico esattamente dove”, è la risposta. Lungo silenzio da parte dell’interlocutore rotto da un’affermazione di colpa: “ è vero il regolamento non prevede questo adempimento. Ma non ci importa nulla o lo produce oppure noi tagliamo il costo e lo riteniamo non ammissibile con la relativa perdita del contributo a fondo perduto. Poi, se non le sta bene, faccia ricorso al giudice ed ottenga da lui il ristoro”. Capito bene con quale burocrazia hanno a che fare le imprese! Ma una burocrazia che agisce contro o senza regole è la cosa più pericolosa che possa capitare in uno stato di diritto.

Storia numero due: bando Insieme per Vincere attivato nel 2013. Una impresa chiede via mail a un funzionario di LazioInnova la cumulabilità del nuovo credito di imposta del governo Renzi entrato in vigore nel 2015 con gli incentivi del precedente bando regionale. Gli viene risposto via mail che non c’è alcun problema al cumulo trattandosi di due incentivi aventi natura diversa e che solo la legge nazionale può eventualmente porre limiti al cumulo. Cosa che la legge nazionale, di gerarchia superiore ad un bando, ovviamente non prevede. L’impresa trasmette la sua regolare documentazione e, cosa pensate che fanno i funzionari di LazioInnova? Ovviamente gli hanno tagliato tutti gli investimenti relativi al 2015 perché non cumulabili con il credito di imposta. L’ignoranza delle disposizioni normative è tale che sono state tagliate anche le fatture relative a prestazioni di liberi professionisti senza i titoli tecnico-scientifici che per la legge fiscale non sono ammissibili al beneficio del credito di imposta e che quindi non ne avevano beneficiato. Insomma il caos, in LazioInnova la mano sinistra non sa cosa fa quella destra. In Germania, Spagna o in Lombardia le imprese avrebbero avuto assegnato un tutor per essere aiutate a massimizzare l’investimento e a non perdersi nei cavilli. A Roma, invece, la cultura cattocomunista da sempre mal sopporta le imprese e così i fondi europei stanziati per fare Pil e occupazione continuano ad essere sprecati. Con questa burocrazia anti impresa non si può andare lontano. Unica consolazione: l’ottusità dei burocrati è tale che neppure capiscono che stanno tagliando il ramo dell’albero, imprese che producono profitti tassabili, che pagano anche i loro stipendi.

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