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Perché i mercati avevano scontato il No

Di Amundi

Domenica 4 dicembre la proposta di riforma costituzionale in Italia è stata respinta a larga maggioranza dalla popolazione: 19,38 milioni di elettori (59,2%) hanno votato No, mentre 13,37 milioni (40,8%) hanno votato Sì per la riforma del Senato. Si tratta di una grande vittoria del No. Ciò è ancora più vero se si considera che l’affluenza alle urne è stata importante rispetto agli standard storici (68%). Questo risultato è un’umiliazione per il Presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha subito annunciato che si dimetterà.

Tra una serie di proposte di modifica della Costituzione, agli italiani è stato chiesto di approvare una riforma volta a superare il bicameralismo perfetto, la riforma del Senato e a ripensare la divisione di potere tra le regioni e il governo centrale. È importante notare che questo risultato non è una sorpresa, tutti i sondaggi d’opinione pubblicati fino a due settimane prima del referendum mostravano chiaramente che il No era in testa e che la quota di elettori indecisi, sebbene alta, era in declino, e che questi erano più vicini al No che al “Sì”.

I MERCATI HANNO SCONTATO GIÀ IL NO

Nonostante l’incertezza, i sondaggi hanno indotto i mercati finanziari a scontare con una maggiore probabilità la vittoria del No. Lo spread a 10 anni del BTP rispetto al Bund è stato abbastanza stabile intorno ai 130 bp per la gran parte del mese di ottobre e poi, in un solo mese, è progressivamente salito a circa 190 punti base (livello raggiunto il 28 novembre) per poi abbassarsi leggermente nei giorni successivi appena prima del referendum. Tuttavia, alla chiusura di venerdì, lo spread a 10 anni ha toccato il picco più alto degli ultimi due anni, anche rispetto ai livelli raggiunti nel giugno 2015 durante la crisi greca. Allo stesso tempo, nelle ultime settimane, i titoli azionari italiani hanno sottoperformato gli altri mercati azionari europei, in particolare i titoli finanziari, apparentemente più correlati all’incertezza derivante da una eventuale vittoria del No. Di conseguenza, le attuali condizioni di mercato sembrano abbastanza diverse da quelle che hanno prevalso in altre esperienze elettorali recenti: infatti, per esempio, i sondaggi mostravano una maggiore probabilità del Bremain rispetto alla Brexit prima del referendum in UK lo scorso giugno. In poche parole, riteniamo che il risultato del referendum sia stato già parzialmente assorbito e non dovrebbe quindi produrre una reazione forte sul mercato e ulteriori effetti negativi potrebbero essere più limitati rispetto a quelli di giugno dopo lo shock Brexit.

È probabile che la BCE intervenga qualora salga la volatilità nel breve termine Un altro fattore che dovrebbe preservare i mercati da scossoni è che la riunione della BCE è prevista per il prossimo giovedì: è probabile che gli operatori sul mercato ne tengano conto fino all’8 dicembre, quando la BCE potrebbe annunciare un’estensione del programma di Quantitative Easing che vada al di là di marzo 2017. L’ultimo messaggio di Mario Draghi e altri importanti rappresentanti della BCE, come Vitor Constancio, confermano che la BCE continuerà a impegnarsi per raggiungere i suoi obiettivi in termini di inflazione e per preservare la stabilità finanziaria. In questo contesto, è probabile che la BCE monitori attentamente le potenziali ricadute negative del risultato del referendum italiano: uno dei risultati del Quantitative Easing più frequentemente citati dalla BCE è in realtà il calo della frammentazione finanziaria all’interno dell’Eurozona. Per esempio, i tassi di interesse bancari a carico delle PMI hanno registrato una convergenza all’interno dell’Eurozona (le piccole e medie imprese italiane possono ottenere prestiti bancari agli stessi tassi di interesse delle PMI tedesche).

ANALISI E IMPATTO SUI MERCATI 

Teniamo presente che l’economia italiana resta particolarmente debole nonostante i tassi di interesse oltremodo bassi. La frammentazione finanziaria finora non ha favorito l’economia italiana. In particolare, il PIL in Italia non è ancora tornato al suo livello del 2011.

L’economia è caduta nella trappola “bassa crescita/alto tasso di disoccupazione” e sono necessari diversi anni per uscirne. Mantenere i tassi di interesse ad un livello basso (vale a dire al di sotto della crescita nominale del PIL) è un prerequisito necessario per una ripresa duratura e per la sostenibilità del debito pubblico. Ciò è ancora più vero considerando che il potenziale di crescita in Italia è sceso di più che nel resto dell’Eurozona: da un lato, la popolazione italiana sta invecchiando rapidamente (la popolazione è diminuita ancora nel 2015) e, dall’altro, la produttività è calata (questo è un fenomeno globale).

In questo contesto economico difficile, ci aspettiamo che la BCE adotti le misure necessarie per mantenere i risultati positivi raggiunti negli ultimi anni attraverso il Quantitative Easing. In altre parole, ci aspettiamo che la BCE faccia “tutto il possibile” per mantenere bassi i rendimenti dei titoli di Stato all’interno della zona Euro.

Qual è ora il possibile scenario politico dopo il referendum?

Ci aspettiamo che il Presidente Mattarella nomini un nuovo Premier. È più probabile un governo tecnico che un governo di coalizione. Un governo di coalizione probabilmente si troverebbe ad affrontare maggiori difficoltà nell’attuare nuove riforme e nel raggiungere un accordo sulla legge elettorale. Solo un governo tecnico sembra in grado di portare a termine una riforma della legge elettorale. L’Italia non può correre il rischio di veder depotenziato il processo di riforme.

Perché sono improbabili immediate elezioni anticipate?

Le elezioni generali si terranno probabilmente nel mese di febbraio 2018, come inizialmente previsto, o nella seconda metà del 2017. Sono improbabili elezioni anticipate (nella prima metà del 2017), perché la legge elettorale avrebbe bisogno di essere cambiata prima. I partiti di centro-destra sono già pronti a far parte di un governo che si occuperà della nuova legge elettorale. Difficilmente il Partito Democratico di Matteo Renzi guiderà un nuovo governo. Gli unici partiti che chiedono elezioni immediate sono i partiti populisti Lega Nord (NL) e Cinque Stelle.

Una delle principali conseguenze della vittoria del No è che il sistema attuale (bicameralismo perfetto) resta in essere. Pertanto, cambiare la legge elettorale dovrebbe essere il compito principale di qualsiasi governo, dal momento che l’Italicum (la nuova legge elettorale) non è compatibile con il bicameralismo perfetto che continuerà a prevalere poiché la riforma non è passata. Inoltre, l’Italicum è ancora sotto l’esame della Corte Costituzionale, che si pronuncerà sulla sua eventuale incostituzionalità: quindi è molto improbabile che la legge elettorale sopravviva nella sua forma attuale.

Verso una nuova legge elettorale… che dovrebbe far diminuire le probabilità che i partiti populisti ottengano una maggioranza.

L’Italicum deve essere cambiato e la nuova legge potrebbe prendere un orientamento più proporzionale. Il mantenimento del Senato (con l’attuale legge elettorale fortemente proporzionale) con esattamente gli stessi poteri della Camera, potrebbe portare alla riformulazione della legge elettorale per la Camera, al fine di rafforzare la rappresentanza proporzionale.

Da un punto di vista politico, ciò rappresenta un aspetto importante per le future elezioni, perché potrebbe rendere più difficile per i partiti populisti o anti euro ottenere una maggioranza in parlamento. Al contrario, ciò aumenterà la probabilità di un governo di coalizione, composto probabilmente dai partiti tradizionali più inclini a ricercare un’alleanza.

Questo potrebbe finalmente ridurre le probabilità di vedere un partito populista o una coalizione populista formare un nuovo governo. Dopo l’inaspettato voto Brexit e l’imprevista vittoria di Trump, il referendum italiano ha rappresentato un altro grande rischio monitorato attentamente dai mercati finanziari.

Tuttavia, ci sono due importanti aspetti che rendono diversa questa votazione – uno positivo ed uno negativo. La buona notizia è che, a differenza dei due precedenti “cigni neri”, il “no” è sempre stato il vincitore favorito in Italia, lasciando poco spazio per spiacevoli sorprese. La cattiva notizia è che, a differenza degli Stati Uniti e nel Regno Unito, che hanno entrambi la propria valuta e una banca centrale indipendente per assorbire parte dello shock, l’Italia condivide la sua moneta e la banca centrale con i paesi della zona Euro. Così la tensione sta salendo sui premi per il rischio dei mercati obbligazionari e azionari. Il differenziale di rendimento tra Italia e Germania ha raggiunto livelli molto elevati, equivalenti ad esempio a quelli registrati nel 2008 (ma senza raggiungere il picco del 2012). E allo stesso modo i titoli azionari italiani hanno sottoperformato di oltre il 20% nel corso del 2016 in vista del referendum.

Oltre al rischio politico inerente al referendum, l’esito della ricapitalizzazione delle banche italiane è di cruciale importanza. In questo contesto di incertezza che trascende la votazione del 4 dicembre, abbiamo deciso di sottopesare selettivamente alcune banche italiane e di ridurre la nostra esposizione complessiva ai titoli italiani quotati in modo da non essere sovraesposti all’annuncio dei risultati. Mentre il mercato italiano non offre titoli interessanti, va detto che i movimenti di mercato nel breve termine non sono sempre particolarmente discriminanti.

Il referendum italiano è particolarmente importante per la costruzione di portafoglio per diversi motivi:

– i dubbi dei mercati sulla capacità dell’Italia di attuare le riforme necessarie per rilanciare la propria economia, un problema in un paese dove il rapporto debito-PIL è ben oltre il 100%. Il referendum ha semplicemente aggiunto incertezza ad una situazione già complessa;

– arriva alla fine di un anno di sorprese politiche che hanno interessato in particolare alcuni investitori;

– si è tenuto pochi giorni prima di due tanto attesi meeting delle banche centrali (BCE e FED), aumentando il nervosismo del mercato;

– la capacità dei mercati di assorbire i pesanti flussi commerciali alla fine dell’anno si è ridotta, nella migliore delle ipotesi, alimentando i timori di un incremento della volatilità.

Questo è particolarmente vero in quanto i future sui tassi di interesse del mercato italiano sono utilizzati anche per coprire le posizioni su altri mercati premium-based (il mercato del credito, per esempio), quando la liquidità è limitata.

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