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Cosa devono fare ora il Pd e Matteo Renzi. I consigli di Enrico Mentana

Non mettere la testa sotto la sabbia. Non guardare soltanto avanti senza riflettere su quello che è successo. E’ il consiglio al Pd e a Matteo Renzi che arriva da Enrico Mentana, giornalista e direttore del tg de La 7. Mentana su Facebook ha seguito passo dopo passo la crisi di governo scaturita dal voto referendario del 4 dicembre che ha provocato le dimissioni di Renzi da premier e l’incarico di Paolo Gentiloni ricevuto dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, a formare un nuovo governo.

Così, in vista della direzione odierna del Partito democratico, Mentana ha scritto questo post sul suo profilo Facebook con critiche e consigli al vertice del Pd. Ecco il testo completo:

Il Pd riunisce oggi la sua direzione, domani festeggerà il suo nuovo premier Gentiloni, e domenica terrà la sua assemblea nazionale per lanciare il congresso che entro inizio marzo eleggerà il suo nuovo segretario e candidato a Palazzo Chigi (forti sospetti sul nome). Quel partito, insieme alla dote della democrazia (tutte le riunioni in streaming), coltiva anche un’abitudine meno virtuosa: accantonare l’analisi delle criticità. Lo fa da sempre, da ben prima dell’era Renzi: del resto è il partito che non ha mai ritenuto opportuno chiedersi chi siano i 101 parlamentari (tuttora in carica) che votarono contro Prodi al Quirinale nel 2013. Non conosciamo ancor oggi nemmeno un nome: nessun dissociato, nessun pentito. Ora sarebbe il caso che Renzi dimostrasse a quei suoi compagni come si fa l’analisi seria e senza indulgenza di una sconfitta, delle sue cause e delle conseguenze da fronteggiare. Senza archiviare (com’è tentazione di ogni leader) l’incidente come fosse un testa coda dopo il quale si riparte di slancio, e senza limitarsi a evocare quadri pittoreschi ma superficiali, come il super aereo presidenziale o le fritture di De Luca. Renzi è di un’altra pasta rispetto a quelli che dicevano “non abbiamo vinto, ma..”. Lo ha dimostrato già 5 anni fa, la sera di quella sconfitta contro Bersani che fu in realtà il suo maggior successo, e ancora una settimana fa nella notte della batosta referendaria. Ma non basta accettare la sconfitta e trarne le conseguenze: se non capisci dove come e perché hai perso non potrai seriamente pensare di tornare a vincere. Se perdi uniformemente in tutta Italia, meno che nelle zone inespugnabili tra Bologna e Firenze, se vai sotto in tutte le periferie (e vinci nei quartieri alti), e anche a Laterina e a Amatrice, se vieni più che doppiato ai due lati dello stretto cui hai ripromesso il Ponte, se vieni umiliato in quella Napoli che hai inondato di piani e finanziamenti, se sei sconfitto in 15 regioni governate dal tuo partito, e più pesantemente in quelle a statuto speciale risparmiate dalla riforma, se il voto per fasce di età ti dimostra che i giovani in massa non ti hanno creduto, non puoi semplicemente aspettare che passi la nottata, per quanto possa essere rassicurante Pontassieve. L’elettore di centro-sinistra aveva diritto a sapere perché il suo partito di riferimento non aveva vinto le elezioni 2013: non gli è stato mai spiegato. Renzi può marcare la differenza anche in questo. Nel suo stesso interesse: è il primo ad aver bisogno di capire quel che il paese gli chiedeva e lui, il suo governo e il suo partito non sono stati in grado di sentire e comprendere. E a occhio e croce non era la riforma costituzionale.

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