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Il vulcano terroristico in Germania eruttato a Berlino. Mappa completa e aggiornata

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Nella serata di martedì lo Stato islamico ha rivendicato l’attacco terroristico di Berlino – dove alle otto di sera di lunedì un camion è piombato su un mercato di Natale uccidendo 12 persone, in pieno stile “chiamata-Al-Adnani”, ossia il messaggio del portavoce e pianificatore dell’IS che chiedeva ai propri proseliti di uccidere gli infedeli a casa loro, organizzandosi con quello che si ha a disposizione. Pochi minuti prima del rivendico era circolata la notizia che il pakistano di 23 anni fermato immediatamente dopo l’attacco perché inseguito da un testimone era stato rilasciato: era l’unico arrestato, era l’unico sospettato in quel momento. Ora ce n’è un altro, è un tunisino ventenne, ma il killer è ancora a piede libero, con le conseguenti polemiche sul controllo della sicurezza nel paese. (Nota: magari è una casualità, ma il tempismo con cui l’IS diffonde le proprie rivendicazioni spesso ha tempi comunicativi eccezionali, nel caso, dopo l’indignazione perché il pakistano era un rifugiato, tema caldissimo tra l’opinione pubblica tedesca che s’era già iniziata a scagliare contro le troppo generose aperture del governo, i messaggeri del Califfo hanno detto “siamo stati noi”).

QUASI MILLE JIHADISTI TEDESCHI IN SIRAQ

In Germania le misure di sicurezza sono già state alzate: il Paese non è nuovo a minacce, e la diffusione delle predicazioni jihadiste califfali è una preoccupazione costante. Soprattutto in un territorio che ha visto nel corso di questo jihad oltre 800 presunti volontari: elementi partiti per viaggi discutibili verso la Siria e o per l’Iraq, con ogni probabilità andati a combattere al fianco del Califfo. Di questi (oltre alla trentina di morti ammazzati dalla guerra), dai dati delle intelligence di Berlino, 270 sono rientrati e si aggiungono ai quasi novemila residenti considerati elementi critici, di cui 500 definiti “molto pericolosi”. Tutti ovviamente attenzionati, come si dice in gergo per coloro che sono sotto il controllo dei servizi: diversi hanno ripreso una vita tranquilla e su di loro non ci sono condanne perché è impossibile provare le attività in Siraq. Altri sono attentamente pedinati perché ancora invischiati con il mondo estremista: dinamiche più che altre collegate alla predicazione, all’arruolamento, alla diffusione delle istanze radicali, avvicinando proseliti tra i centri islamici e le moschee. Tre settimane fa un ragazzino di dodici anni, nato in Germania da genitori iracheni, è stato intercettato dalla polizia a Ludwigshafen, nel sud (Renania-Palatinato). Voleva colpire anche lui i mercatini di Natale, aveva preparato uno zaino imbottito di una carica esplosiva rudimentale e viti, lo aveva abbandonato in un’aiuola – perfetta la linea esecutiva, sopralluogo, creazione dell’ordigno, preparazione, come decritto dalle pubblicazioni del Califfo, poi è stato notato e magari è mancata l’esperienza necessaria a muoversi senza destare sospetti. Ralph Jaeger, il ministro dell’Interno del Nordreno-Westfalia, il Land più popoloso della Germania, commentando la vicenda aveva promesso che i controlli di sicurezza sarebbero stati alzati per garantire alla popolazione, scossa dalla notizia del baby-attentatore, che tutto sarebbe filato liscio durante i tradizionali mercatini. Parole che si starà rimangiando. Secondo la polizia dietro al ragazzino c’era una struttura di predicazione che lo ha incitato, fomentato, radicalizzato: già nel 2014, a dieci anni dunque, il bambino aveva detto ai genitori di voler andare in Siria a combattere con l’Isis – ora è stato portato in un centro di recupero, di deradicalizzazione, con il consenso della famiglia.

UNA RETE FITTISSIMA, UNA MAPPA DIFFUSA

Agli elementi più o meno noti si aggiungono i self-made jihad, i lupi-quasi-solitari: persone finora sconosciute, personalità critiche, inclini alla radicalizzazione, che grazie all’aiuto di qualche contatto decidono il passo successivo, il gesto jihadista. A metà luglio Riaz Khan, un profugo pakistano di 17 anni pare radicalizzato in ambienti salafiti (interpreti di una visione radicale dell’Islam, il cui numero, secondo il Wall Street Journal è triplicato dal 2012), si è avventato contro i passeggeri di un treno a Wurzubrg, in Baviera. La Seddeutsche Zeitung ha pubblicato due mesi dopo le comunicazioni scambiate da Khan in una chat online con un istruttore dello Stato islamico: Khan diceva di voler usare un’ascia, il suo interlocutore rispondeva che sarebbe stato meglio fare l’attentato con la macchina perché “il danno” sarebbe stato maggiore, ma il profugo diceva di non aver la patente e di voler agire subito, allora il baghdadista rispondeva che se avesse fatto il gesto l’IS ne avrebbe assunto paternità. Il ministro dell’Interno Thomas de Maiziere commentò la questione dicendo che l’IS usa “una specie di telecomando” su certi elementi. Dinamica analoga per l’attentatore di Ansbach: il ventisettenne profugo siriano che si è fatto esplodere davanti all’ingresso di un concerto all’aperto il 24 luglio era entrato in contatto con un baghdadista. Avevano chattato riguardo al valore del luogo dell’attacco, “sarà pieno di gente” la proposta, “bene, uccidili tutti” la risposta. Scambi di messaggi anche durante i giorni stessi delle azioni. Qualche mese prima, a febbraio, una studentessa di 15 anni, anche lei in contatto con una non meglio identificata “Leyla” dell’IS, aveva accoltellato al collo un agente di polizia ad Hannover, e ad ottobre un ventenne ha accoltellato ad Amburgo una coppia di fidanzati adolescenti, gettando poi in acqua la donna. Un’azione di Amburgo che è stata ripresa da esempio anche in un video del Califfato uscito a fine novembre.

LE CELLULE

Gesti minori, azioni meno spettacolari di quella di Berlino, ma che indicano un magma ribollente, aiutato da catalizzatori. L’8 novembre le teste di cuoio hanno condotto un blitz per smantellare una cellula di indottrinamento baghdadista che si muoveva tra Bassa Sassonia e Nord Reno Westfalia: tra questi un terrorista noto come Abu Walaa, iracheno di 32 anni, considerato dai servizi tedeschi uno dei principali reclutatori nel paese. Pare che il terrorista ricercato per l’attacco di Berlino avesse avuto contatti con questa cellula. A fine novembre è stata diffusa la notizia dell’arresto di un 51enne a Dusseldorf (nell’ovest del paese): sembrerebbe essersi auto-radicalizzato dopo la conversione nel 2014, ma l’aspetto preoccupante è che da aprile lavorava per il BfV, il servizio segreto interno. Forse tramava un piano per colpire la sede centrale di Colonia ha scritto lo Spiegel, forse era utilizzato come talpa per spifferare le evoluzioni delle inchieste: quando la polizia è entrata nel suo appartamento ha trovato chat islamiste online aperte dove usava lo stesso nickname che aveva ai tempi in cui era un attore porno-gay. “Al momento non abbiamo alcuna indicazione di problemi strutturali fondamentali”, aveva commentato un portavoce del ministero per difendere l’agenzia.

IL RISCHIO E LA STABILITÀ

La vicenda, soprattutto per quei dettagli da gossip sul passato dell’ex agente, ha alzato ancora le polemiche nei confronti dei servizi di sicurezza tedeschi, ora di nuovo sotto pressione per il grande attentato di Berlino. A settembre del 2017 ci saranno le elezioni, e la questione terrorismo sovrapposta alla bega immigrazione, sarà uno dei principali banchi di prova per la Cancelliera Angela Merkel. Ricostruendo le notizie si disegna una preoccupante mappa del terrorismo che interessa l’intero paese. A sostegno di Merkel: Charles Hecker, senior partner della società inglese di sicurezza privata Control Risks, intervenendo alla CNBC ha detto che la situazione tedesca è nota, ma la sua azienda (36 uffici in oltre 100 paesi, leader globale nel settore) manterrà un rating non alto sul rischio sicurezza in Germania, perché gli attacchi non potranno destabilizzarne l’economia e la stabilità sociale.

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