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Filippo Mazzei e i figli migliori e sconosciuti dell’Italia all’estero. Promemoria per il ministro Poletti

A mio modo di vedere, il miglior augurio di Natale possibile, per la triste Italia di questi tempi, sarebbe quello di iniziare a ricordare (è il caso di dire: a scoprire) alcuni dei suoi figli migliori e sconosciuti, costretti (non dispiaccia al ministro Poletti) a esprimere all’estero i propri talenti.

Si deve ad esempio alla cura paziente e colta di un ricercatore, Luca Benesperi, la ricostruzione di una meravigliosa storia della seconda metà del Settecento, quella di Filippo Mazzei (“Filippo Mazzei nel processo di formazione degli Stati Uniti d’America” – Nuova Cesat, Firenze).

Chi fu Mazzei? A lui, nel 1980, per celebrarne il 250mo anniversario della nascita, gli Stati Uniti dedicarono un francobollo con la scritta “Philip Mazzei Patriot Remembered”. E proprio lui (tra gli altri, fu John F. Kennedy a ricordarlo) coniò la formula immortale “all men are created equal and independent”, poi fissata nella Dichiarazione d’Indipendenza.

Mazzei visse una vita da romanzo: toscano, uomo d’affari (si direbbe oggi: nel settore dell’enogastronomia), agricoltore, viaggiatore instancabile, ma soprattutto pensatore innamorato della libertà. Benesperi ne traccia un ritratto da leggere e rileggere, pagina dopo pagina.

Una prima volta, per seguire il suo “giro del mondo”: dalla Francia di Luigi XVI all’Inghilterra, dagli Stati Uniti alla Polonia, passando per Costantinopoli, e poi di nuovo in Europa come “agente” americano. Mai come semplice “osservatore”, ma sempre con la passione di battersi per le proprie idee, di prendere parte, di “pensare” e “militare” insieme. Una vita da uomo d’affari, ma anche da attivista politico e da animatore di circoli intellettuali.

Una seconda volta, per ricostruire il suo tragitto culturale, e quindi politico. Innamorato di Locke, difensore intransigente dell’individuo in ogni sua manifestazione, era fissato sull’idea della libertà come presupposto e non come prodotto delle istituzioni e delle leggi. Lo stato non crea la libertà e gli individui: al contrario, deve essere uno strumento al loro servizio. Ergo, diventa decisiva la limitatezza e la revocabilità del mandato popolare. Lo disse e lo scrisse 250 anni fa, ma sono cose essenziali oggi più di allora.

Su questi presupposti, Mazzei credette di amare l’Inghilterra, e fu – per così dire – entusiasta di vedere un pari inglese impiccato per aver ucciso un suo dipendente: dunque, gli parve di scorgere la prova definitiva dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge! Poi però si accorse che neanche l’Inghilterra di allora rispondeva ai suoi ideali di democrazia e libertà: era ancora insopportabile il peso del sovrano…

E allora ecco gli Stati Uniti, che accompagnò per alcuni decenni nel cammino verso l’Indipendenza. Fu amico di quelli che sarebbero divenuti cinque Presidenti. E in particolare di Jefferson, di cui fu intimo. Benesperi racconta bene un costante carteggio tra Mazzei e l’autore della Dichiarazione. Molti contenuti degli scritti di Mazzei (incluse annotazioni in italiano, che Jefferson poteva comprendere) risultano coincidenti con parti della Dichiarazione.

E’ una storia meravigliosa, stimolante per la testa e affascinante per il cuore di ogni lettore. Resta una domanda, più che mai densa di significato per i liberali di oggi. Mazzei non dimenticò mai un aspetto chiave della dottrina di Locke, che fu anche un punto fermo per Jefferson: il diritto – anzi, in qualche misura il dovere – di rovesciare il potere costituito, se divenuto tirannico. E’ una parte del pensiero liberale che appare oggi, e da troppo tempo, dimenticata e dispersa.

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