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Che cosa succede davvero in Siria fra Russia, Turchia e Usa

L’esercito turco ha comunicato che domenica lo Stato islamico ha ucciso almeno 30 persone ad Al Bab, nel nord della Siria: si trattava di civili che cercavano di sfuggire dalla città, occupata da diversi mesi dai baghdadisti (non è chiaro se siano stati uccisi da un’autobomba, oppure da trappole esplosive messe sulla via di fuga nottetempo).

OBIETTIVO AL BAB

Al Bab, che si trova nel nord della provincia di Aleppo, è l’oggetto del desiderio della missione militare turca Scudo dell’Eufrate, un campagna con cui Ankara ha inviato in Siria un gruppo di forze speciali, mezzi corazzati e ribelli addestrati. Il mix ha come compito liberare un ampio cuneo della fascia di confine turco-siriano dalla presenza dello Stato islamico; poi c’è un obiettivo più contingente, che è quello di fermare i curdi siriani nel loro progetto di espansione (Ankara li considera nemici non migliori degli uomini del Califfo). La missione Scudo, giunta al suo 126esimo giorno, sta procedendo benino, perché le truppe del secondo più forte esercito della Nato, nonostante la superiorità di mezzi, hanno trovato una forte resistenza dei baghdadisti soprattutto nella fase attuale – prima erano scesi dalla Turchia senza troppi impacci. L’operazione si basa su un consenso unanime: sono d’accordo gli americani, anche se hanno dato supporto relativo, e sono d’accordo soprattutto i russi, perché è grazie a loro – che hanno il controllo dei cieli siriani – che soldati e paramilitari turchi hanno potuto entrare in Siria senza scatenare una risposta del governo di Damasco alla violazione territoriale (risposta che avrebbe avuto sviluppi complessi: per esempio, se la Siria avesse attaccato la Turchia ci sarebbero stati gli estremi per l’innescarsi dell’Articolo 5 del protocollo Nato?).

LA TROIKA E RAQQA

Russi, iraniani e turchi fanno parte di una nuova troika che sta decidendo le sorti della Siria. Ankara due giorni fa, dopo che alcuni mezzi corazzati della Scudo sono stati distrutti dalla controffensiva dell’IS (e altri sono stati rubati) ha chiesto agli Stati Uniti maggiore sostegno, ma Washington al momento non è allineato con la Turchia e i suoi nuovi partner. Rappresentati dei tre paesi hanno stretto accordi “per chiudere definitivamente la guerra” nei giorni scorsi, e altri sono in programma: a questi incontri non sono stati invitati delegati americani. Erik Schmitt del New York Times è stato a bordo del Joint Stars, il Boeing 707 modificato, che si occupa di compiere le missioni di perlustrazione lunghe anche 12 ore sulle aree del Siraq in mano al Califfato. I militari che hanno accompagnato il giornalista gli hanno raccontato che nei loro piani operativi è già previsto l’aumento di questo genere di missioni, che sono quelle importantissime con cui gli Stati Uniti raccolgono dati per delineare gli obiettivi dei raid aerei. Questo non si allinea neanche un po’ con la richiesta turca di maggior aiuto su Al Bab, perché le attività americane saranno di supporto alla campagna lanciata su Raqqa, roccaforte siriana del Califfo,  che si trova 180 km più a sudest di Al Bab. Per quest’operazione gli Usa hanno già un partner, che non è digerito dalla Turchia: i 45mila uomini che almeno 500 forze speciali americane stanno guidando su Raqqa sono in gran parte costituiti dai miliziani curdi siriani, gli stessi contro cui Ankara ha lanciato la Scudo, considerandoli un gruppo terroristico. Non è così per Washington, che ha rafforzato ulteriormente il dispositivo militare che li affianca, con l’invio di altri 200 uomini dei gruppi scelti: da inizio 2016 è nella volontà strategica di Barack Obama andare contro le roccaforti del Califfato (lo stesso sta succedendo in Iraq, contro la capitale Mosul) e in questo momento gli ufficiali che hanno parlato col Nyt dicono che forse dietro c’è anche la necessità di fare in fretta, perché quando inizierà l’amministrazione di Donald Trump non è chiaro ancora quali saranno gli obiettivi.

LE FOSSE COMUNI AD ALEPPO E LA RUSSIA

Trump dice di voler collaborare con la Russia, ma mentre gli Stati Uniti hanno compiuto negli ultimi mesi circa il 30 per cento dei raid aerei su Raqqa, per dare sostegno alla decapitazione del Califfato, Mosca nelle ultime settimane si è impegnata in un altro conflitto, quello interno a sostegno di Bashar el Assad (concentrato prima su Aleppo ora probabilmente su Idlib) e hanno addirittura perso terreno davanti ai baghdadisti. Gli uomini del Califfo hanno infatti riconquistato Palmira, unico dei medio-grandi obiettivi chiusi dalla Russia contro lo Stato islamico; curiosità, la Russia, immersa nel magma propagandistico, aveva accusato gli Stati Uniti per quanto successo nella città storica siriana, incolpando Washington di aver diminuito gli attacchi aerei su Raqqa, che si trova un po’ più a nord. S’è detto, non è così, anzi. Lunedì era circolata la notizia di una rara missione aerea russa in soccorso dei turchi nei pressi di Al Bab: era stato il turco a farla uscire, nell’ottica di una cooperazione che un anno fa sarebbe stata impensabile, poi però Mosca ha smentito (e forse era tutto un tentativo di mandare messaggio di minaccia verso Washington: aiutateci, perché gli altri ci stanno già aiutando). Di fatto la Russia in queste ultime settimane non colpisce l’IS. Lunedì un portavoce del ministero della Difesa russo ha voluto sottolineare che nonostante questo Mosca è concentrata sulla lotta al terrorismo: il funzionario ha detto ai media russi e siriani che ad Aleppo sono state ritrovate delle fosse comuni, con all’interno corpi di civili che riportavano evidenti segni di tortura. Il messaggio è: che differenza fa tra questi ribelli che abbiamo combattuto noi ad Aleppo e l’IS? (È la linea russa, d’altronde: non ci sono gruppi tra l’opposizione combattente che siano potabili, sono più o meno tutti terroristi: il mantra di Assad da anni). La dichiarazione è stata ripresa senza troppo spirito critico dai media italiani, ma è taciuta altrove: in effetti la Russia è uno dei cinque membri permanente del Consiglio di Sicurezza, e dunque dovrebbe meritare rispetto e trasmettere affidabilità, eppure sovente diffonde informazioni artefatte e propagandistiche (è vero che molte altre sono state diffuse anche dai gruppi ribelli). L’Osservatorio siriano per i diritti umani, la onlus con sede a Londra spesso citata e a volte non troppo precisa, ha detto che al momento non poteva specificare il modo in cui erano morte le persone ritrovate nell’est di Aleppo, l’area precedentemente occupata dai ribelli, martellata con atrocità dai governativi anche nelle ultime settimane, e finita di sfollare con la vittoria del regime la scorsa settimana.

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