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Come cambieranno i rapporti Usa-Israele con Trump. Parla Arbib (Jerusalem Foundation)

Non ci sono dubbi: lo Stato islamico è presente in Israele e l’attentato dello scorso 8 gennaio, dove un camion si è lanciato contro la folla uccidendo quattro soldati e ferendone altri 17, è stato compiuto secondo le stesse modalità delle stragi compiute a Nizza e Berlino.

Quella condotta da Isis in Israele non è solo una guerra contro lo Stato israeliano, come lo è, invece, quella combattuta da Hamas. In un’intervista con Formiche.net, Johanna Arbib, presidente della Jerusalem Foundation e già presidente mondiale del Keren Hayesod, ha spiegato che la guerra di Isis è contro il mondo occidentale in generale. I legami tra l’organizzazione terroristica e Hamas, tuttavia, non mancano: “Basta vedere come è stata festeggiata la morte dei soldati israeliani a Gaza, con la distribuzione di caramelle e dolci”.

IL TERRORISMO È UNO SOLO 
Ma secondo Arbib, la questione è che non esiste un terrorismo di classe A e un terrorismo di classe B: “Il terrorismo è uno solo e va combattuto. Lo Stato di Israele ne paga le conseguenze da quando è nato. Oggi anche l’Occidente soffre gli effetti di avere lasciato spazio, in maniera aperta, ai terroristi”.

Ora però, i venti della geopolitica internazionale potrebbero soffiare a favore di Israele. Con la nuova presidenza americana, ci saranno forse cambiamenti verso una concezione più equilibrata del conflitto. Arbib crede che da Donald Trump gli israeliani si aspettano semplicemente quello: l’equilibrio. “La Palestina non riconosce Israele – ha spiegato il presidente della Jerusalem Foundation –. La pace tra palestinesi e israeliani deve superar il concetto che gli insediamenti siano un ostacolo. Bisogna tornare alle priorità sul conflitto”.

IL RUOLO DI JARED KUSHNER
Da Trump ci aspettiamo anche passi concreti, come spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme, capitale dello Stato ebraico. Sul marito di Ivanka Trump, Jared Kushner, nominato consigliere della Casa Bianca (qui l’articolo di Formiche.net), Arbib pensa che si è dimostrato “un giovane uomo in gamba. Che ha una strategia e idee chiare. È un personaggio aperto, che sa come fare tornare a parlare dei temi che sono davvero prioritari in Medio Oriente. Penso che Kushner saprà affrontare il cambiamento necessario”.

LA VOLONTÀ PALESTINESE
Nonostante l’intervento di un Paese amico come gli Usa sia importante, secondo Arbib la pace tra Israele e Palestina non può essere raggiunta se manca la buona volontà della leadership palestinese: “Per arrivare a un accordo, la Palestina deve riconoscere Israele. È necessario che la Palestina smetta di parlare due lingue: al popolo trasmette un messaggio che incita alla violenza, al terrorismo, a festeggiare la morte invece di onorare la vita, mentre alle Nazioni Unite accusa Israele per le colonie”.

LA LEADERSHIP DELLE NAZIONI UNITE
Secondo Arbib, le Nazioni Unite non hanno mai ascoltato le ragioni dello Stato israeliano. Piuttosto, hanno sempre favorito i Paesi arabi. “Hanno scelto per la leadership dell’organizzazione molti di quei Paesi che finanziano le armi – ha aggiunto Arbib –. Basta guardare la decisione sul Muro del Pianto: dire che non appartiene al popolo ebraico, e ignorare la presenza storica degli ebrei in quello che è il luogo più sacro per il popolo ebraico, è voler negare l’evideza. Oltre a essere un errore storico!”.

I RAPPORTI CON L’ITALIA 
All’epoca, il governo italiano – con Paolo Gentiloni ministro degli Affari esteri – si era astenuto dalla votazione sulla risoluzione dell’Unesco sul Muro del Pianto, generando critiche, polemiche e non poca indignazione. Ma Arbib è ottimista: “L’Italia è vicina a Israele, da più di 15 anni i rapporti tra i due governi sono buoni. Gentiloni, alla guida della Farnesina, si era recato in Israele e penso che lo farà di nuovo come presidente del Consiglio. L’astensione del voto sul Muro all’Onu penso sia stato un errore, come ha spiegato il premier Matteo Renzi, per volersi allineare agli altri Paesi europei”. Ma agli errori, in futuro, si può rimediare. “E’ arrivato il momento per la leadership europea di riconoscere le ragioni d’Israele, avamposto di democrazia in un’area dove la parola democrazia non fa parte del vocabolario, e promuovere una pace giusta – ha concluso Arbib –. Nel vocabolario ebraico la parola Shalom, pace, è il saluto che ci si rivolge abitualmente ed esprime il volere di tutto il popolo. Ma finché la leadership palestinese continuerà a distribuire caramelle quando vengono uccisi cittadini israeliani ciò non sarà possibile! Citando Golda Meir, “la pace con i nostri vicini sarà possibile quando loro impareranno ad amare i propri figli più di quanto odiano i nostri”.

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