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Cosa potrebbe decidere la Corte Costituzionale sull’Italicum

(La prima parte dell’analisi si può leggere qui)

Un primo aspetto è quello del premio di maggioranza, della sua decisività o meno e delle modalità della sua assegnazione. La motivazione della sentenza n.1/14 della Corte è incentrata sul concetto di proporzionalità tra il perseguimento dell’obiettivo della governabilità, in funzione della quale è assegnato il premio, e la correlativa compressione della rappresentanza. In altre parole, la rappresentanza non può essere compressa in maniera sproporzionata e irragionevole dalla previsione di un premio di maggioranza.

Posto ciò, come ho già avuto modo di scrivere su federalismi n.18 del 21 settembre 2016 (“L’Italicum di fronte alla Corte e i tempi del referendum sulla riforma costituzionale“), a me pare che una cosa sia la ragionevolezza del premio se si è di fronte ad una legge elettorale per un’assemblea depositaria unica del rapporto fiduciario; altra cosa se di tale rapporto sono titolari due camere (la seconda delle quali per di più eletta con metodo proporzionale, come è attualmente per il Senato). In altre parole, lo scrutinio della Corte non può essere ristretto all’equilibrio tra governabilità e rappresentatività del sistema elettorale di una singola camera, ma allargato anche alle conseguenze sul complessivo sistema istituzionale.

Se fosse stata approvata la riforma costituzionale, con la sola Camera dei deputati titolare del rapporto fiduciario, il problema sarebbe stato sicuramente circoscritto al ballottaggio: sarebbe stato quello di valutare se il premio fosse giustificato in un turno di ballottaggio nel quale l’affluenza degli elettori avrebbe potuto essere ridotta e se fosse costituzionalmente ragionevole attribuire la maggioranza dei seggi a una forza politica scarsamente rappresentativa. In questa ipotesi, i criteri enunciati dalla Corte nella sent. 1/2014 le avrebbero lasciato ampi spazi di intervento sia in senso positivo che negativo.

Ma i problemi sono diversi se l’Italicum deve operare in un bicameralismo paritario. Il premio dopo il ballottaggio non assicurerebbe alcuna esigenza di governabilità. Ciò sia nell’ipotesi, del tutto teorica che si volesse estendere l’Italicum al Senato, perché, come si è detto prima, non sarebbe certa la vittoria della stessa lista nei due ballottaggi; sia se permanesse la situazione attuale di una legge elettorale del Senato di tipo proporzionale. Se si è costretti ad andare al ballottaggio, infatti, è perché nessuna lista ha raggiunto il 40% dei voti e quindi, quasi sicuramente, la lista vincitrice nel ballottaggio non avrebbe anche la maggioranza al Senato. A meno di non pensare alla possibilità di consentire di costituire delle coalizioni fra primo turno e ballottaggio al fine di ottenere un vincitore nel ballottaggio con una più ampia base elettorale che potrebbe essere maggioranza anche al Senato. Nell’ipotesi di un Senato eletto con il Consultellum bisogna tener conto inoltre di un altro inconveniente: il ballottaggio alla Camera si svolgerebbe in un momento successivo alla conclusione del procedimento elettorale del Senato con un effetto che potrebbe essere condizionante la manifestazione del voto.

In definitiva, il ballottaggio di lista previsto dall’Italicum appare una compressione del principio di rappresentatività sproporzionata e irragionevole. Ma poiché nessun sistema elettorale è in grado di assicurare la stessa maggioranza nelle due camere e quindi la governabilità, si potrebbe dubitare della legittimità di tutti i sistemi elettorali con premio majority assuring. Parte delle considerazioni svolte per il ballottaggio potrebbero valere anche per il premio alla lista che ottiene il 40 % dei voti. Perché assicurare ad una lista la maggioranza in una camera se non ha la possibilità di ottenerla anche nell’altra? Ma potrebbe la Corte dire che bisogna introdurre lo stesso premio anche nella legge elettorale del Senato? La considerazione che in via di fatto si può fare è che, nel caso specifico, il premio è assegnato ad una lista che ha ottenuto un consenso elevato e presuntivamente in grado di raggiungere la maggioranza dei seggi anche al Senato con il Consultellum, un proporzionale con soglie selettive anche perché su base regionale. Si sottrarrebbero ad ogni obiezione invece i premi non decisivi, che conferiscono seggi aggiuntivi a chi ha ottenuto il miglior risultato elettorale senza però garantirgli la maggioranza assoluta. Ma proseguire questo ragionamento potrebbe portare lontano da quello che sarà il probabile ambito di intervento della Corte.

Un altro aspetto controverso dell’Italicum, le candidature bloccate dei capilista, sembrerebbe sfuggire a censure di incostituzionalità alla luce della sentenza n.1/2014. In essa infatti è affermato che “è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione“. Insomma, la legge n. 270/2005 non era comparabile “con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi“. E questo sarebbe il caso dell’Italicum, salvo considerare che per le liste con meno voti gli unici eletti sarebbero i capilista bloccati. A sostegno della legittimità del meccanismo si è anche detto che l’elettore, sapendo che il voto alla lista favorisce l’elezione del capolista bloccato, si trova in una situazione di libertà di scelta non dissimile da quella di un collegio uninominale: se non intende assolutamente favorire l’elezione del capolista non voterà la lista.

Più discutibili sono l’elevato numero (dieci) di multicandidature possibili per i capilista bloccati e l’assoluta libertà di scelta nell’opzione ad essi lasciata in caso di elezione in più collegi. E’ un meccanismo che effettivamente rompe il legame tra eletti ed elettori e fa ritornare il tema dei parlamentari “nominati”. La Corte potrebbe quindi intervenire eliminando le multicandidature; se volesse incidere solo sulla libertà di opzione dovrebbe farlo con una sentenza additiva di non facile configurazione (ad esempio, sopprimendola e fissando il principio che il plurieletto è proclamato nel collegio ove il subentrante ha, in relazione alle preferenze, il migliore quoziente elettorale).

Una considerazione conclusiva. Il giudizio sulla costituzionalità dell’Italicum evidenzia l’accresciuta centralità della Corte costituzionale in vicende marcatamente politiche e il ritrarsi timoroso degli attori politici dall’assumere decisioni che preferiscono affidare alla Consulta. Come si è già detto, all’indomani della soluzione della crisi che ha portato alla formazione del governo Gentiloni e del monito del Presidente della Repubblica sulla necessità di avere leggi elettorali omogenee, i partiti non hanno pensato di mettersi subito all’opera, ma hanno dichiarato tutti di voler attendere il giudizio della Corte sull’Italicum. Se poi si finirà per attenersi strettamente a tale giudizio e a quanto disposto dalla sentenza n.1 del 2014, si sarà registrata una completa abdicazione della politica.

La Corte intervenne sulla legge elettorale del 2005, il Porcellum, spinta dall’inerzia degli attori politici, incapaci di trovare un accordo per modificare una normativa da tutti aspramente criticata. Alla pronuncia di incostituzionalità dei punti cardine di quella legge la Corte giunse attraverso l’ammissibilità di un’eccezione che suscitò non pochi dubbi e che è stata definita un “ricorso semidiretto” o un “ricorso diretto mascherato” (Ruggeri, “Teoria della Costituzione e tendenze della giustizia costituzionale, al bivio tra mantenimento della giurisdizione e primato della politica“, in federalismi, n.25 del 2016). Se anche l’Italicum uscirà modificato dal giudizio della Corte e la politica applicherà quanto da esso emerso, la legislazione elettorale, lungi dall’essere, come in passato, una “zona franca” rispetto alla giustizia costituzionale sarà un terreno riguardo al quale la politica sarà venuta meno ad una delle sue più peculiari responsabilità e la Corte apparirà come il vero legislatore.

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