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Cosa unisce e cosa divide Trump e May

Theresa May

Venerdì, vestita col tailleur rosso ormai divisa per le visite internazionali (era lo stesso indossato al G20 di Hangzhou in cui ha incontrato Vladimir Putin e Barack Obama, al primo giro di relazioni globali del suo governo) Theresa May, la primo ministro britannica, è arrivata a Washington per il vertice a due con il presidente americano Donald Trump.

LA PRIMA INTERNAZIONALE DI TRUMP

Si tratta del primo incontro diretto con un leader internazionale ospitato nel nuovo Studio Ovale: “nuovo” per politiche rispetto alla gestione precedente, ma anche con dettagli d’arredo aggiunti repubblicano allo storico ufficio del Commander-in-Chief. Tende oro, nuovi divani, nuovo tappeto e il ritorno del busto di Wiston Churchill regalato al presidente George Bush dall’ambasciatore inglese Christopher Meyer, che Trump ha voluto rimettere al fianco di quello di Martin Luther King con cui Obama lo aveva sostituito (è una decisione che il repubblicano aveva annunciato la settimana successiva della vittoria elettorale, quando ricevette alla Trump Tower di New York, usata durante la fase di transizione come Oval Office, il leader che più di tutti aveva lavorato per la Brexit, Nigel Farage).

POLITICHE BILATERALI

Diversi tratti in comune sottolineati dai due leader venerdì. Gli analisti più raffinati, per esempio il professore di geopolitica economica Carlo Pelanda, ricordano che in fondo entrambi i capi di stato/governo condividono una posizione difficile. May ha bisogno di una stampella a cui aggrapparsi nel difficoltoso percorso della Brexit, Trump vuole costruire politiche bilaterali che gli liberino maggiormente le mani e per questo cerca partner. Venerdì per il presidente americano è iniziata un fine settimana dall’inteso valore geopolitico (condito con un annuncio che invece ha un significato solo politico: l’ordine sugli immigrati dai paesi islamici considerati a rischio, seguendo la linea degli annunci elettorali ripresi nei primi ordini esecutivi). Sabato Trump avrà delle conversazioni telefoniche con il francese François Hollande, con la tedesca Angela Merkel e con Putin, poi toccherà al giapponese Shinzo Abe, partner preferenziale nel Pacifico a cui dovrà dare rassicurazioni dopo aver celebrato il funerale al trattato Tpp. Con tutti cercherà di lavorare bilateralmente.

CONTATTI E DIFFERENZE

L’incontro di venerdì con la premier inglese segna il ritorno dell’Anglosfera, quella Special Relation di cui parlò Churchill, una situazione che un attento osservatore della politica internazionale come Mario Sechi descrive così: “Il ruolo di Downing in questo nuovo Risiko sarà decisivo: gli inglesi sono ancora oggi un passaggio in Asia (il sistema finanziario di Hong Kong è di matrice inglese) e un ponte per il medio oriente (Londra è la residenza europea delle petromonarchie) su cui Trump potrà far viaggiare i convogli della sua diplomazia d’acciaio”. “May tenterà un’operazione di equilibrio tra il mondo nuovo di Trump e il Vecchio Continente” (Sechi). Ossia, Londra sarà il catalizzatore globale del trumpismo? Secondo Gabriele Carrer, curatore della newsletter “Fumo di Londra”, “è fondamentale innanzitutto comprendere i messaggi che hanno portato Trump alla Casa Bianca e May a Downing Street. Se il primo ha vinto le elezioni di novembre con il protezionistico America First, la seconda si è ritrovata alla guida del Regno Unito dopo una lotta fratricida che ha spazzato via i due leader della campagna Vote Leave (Boris Johnson e Michael Gove)”. Ma quella inglese, spiega Carrer, è “una campagna che ha trionfato grazie ad un messaggio più liberale (‘Out – and into the world’ titolava il settimanale conservatore e pro-Brexit The Spectator) che trumpian-protezionista”.

IL COMMERCIO AVVICINA, LA BREXIT È FANTASTICA

I punti di contatto sono tutti concentrati nella necessità reciproca di ridisegnare le relazioni internazionale: deve farlo il Regno Unito con la Brexit, devono farlo gli Stati Uniti con un fenomeno nuovo alla Casa Bianca. La sponda: Trump dice che la decisione del referendum inglese del 23 giugno, la Brexit, è una mossa “fantastica” e dà forza a Londra promettendo rapporti privilegiati appena sarà fuori dal mercato europeo (possibili nuovi accordi commerciali che andranno ad inserirsi comunque in un contesto commerciale già molto ben oleato). Il commercio per il momento è il motore trainante dei rapporti, perché su altri temi restano delle distanze. A cominciare per esempio da una questione laterale, quella dell’uso delle torture per interrogatorio: l’argomento è stato da poco tirato fuori da Trump, propenso alla riapertura dei Balck Sites della Cia e a concedere mano pesante all’esercito, e interessa molto più l’opinione pubblica inglese che il governo. Trump ha cercato di bilanciarsi: a capo del Pentagono ho James Mattis, ha detto, che ritiene inutili le torture, dunque andrà a finire che tra me e “l’esperto” vincerà lui. È anche un modo per facilitare la strada a May, che nel suo paese incontra le difficoltà di chi critica in toto il trumpismo, figurarsi se dovesse essere il partner preferenziale.

LA NATO

Apparentemente i due leader sembrano meno vicini su altre questioni, a cominciare dalla Nato, per esempio. Trump  ha più volte criticato l’atteggiamento di molti alleati che non investono abbastanza nell’Alleanza, definita “obsoleta”. La premier inglese ha una visione più conservatrice, ritiene ancora l’America e il Regno Unito cardini inviolabili del pilastro della difesa occidentale, ma anche May ha trovato condivisibile il discorso sul riequilibrio delle spese (e degli impegni). Un passaggio del discorso tenuto prima di incontrare Trump davanti ai vertici dei repubblicani americani riuniti a Philadelphia chiarisce la posizione: “I giorni in cui la Gran Bretagna e l’America intervengono nei paesi sovrani nel tentativo di rifare il mondo secondo la loro immagine sono finiti”. May ha affermato che Trump sta al cento per cento con la Nato e lui non ha negato (ma nemmeno replicato). I rapporti sul commercio e le intese sulla difesa, anche in chiave antiterrorismo, potrebbero essere d’aiuto alla May nel dialogo aperto con Bruxelles, perché potrebbero porre l’Europa tra Brexit e Trump a Occidente e la Russia a Oriente.

LA RUSSIA, APPUNTO

Distanti anche sulla Russia? Trump a quanto pare starebbe lavorando sul modo per alleggerire le sanzioni economiche con cui il Tesoro ha colpito Mosca a seguito della crisi ucraina. Probabilmente la questione sarà uno degli argomenti affrontati nel primo colloquio diretto con Putin. È un lavoro complesso, che per il momento è rallentato sia da un aspetto tecnico come l’avallo congressuale a Rex Tillerson, nominato da Trump segretario di Stato e considerato molto vicino alla Russia per via del suo precedente ruolo a capo del colosso energetico Exxon Mobil; l’amministrazione non vorrete muovere passi concreti sulle sanzioni per non complicare l’avallo definitivo del Congresso sulla nomina. Sia da un aspetto più importante: vogliamo avere buoni rapporti con Mosca, dice Trump, ma “non conosco Putin”, dunque niente salti nel vuoto. La porta che dà su Londra è un po’ meno aperta: May durante la conferenza stampa dopo l’incontro con Trump ha dichiarato che prima di sollevare le sanzioni sarà necessario che la Russia implementi gli accordi di Minsk, quelli in piedi da tre anni che dovrebbero portare al de-conflicting in Ucraina orientale e su cui i russi hanno sempre fatto un doppio gioco (d’accordo ai tavoli, mentre sostenevano i ribelli separatisti sul campo). Però, mentre May era a Washington, il ministro degli Esteri inglese Boris Johnson apriva per la prima volta alla possibilità che il presidente siriano Bashar el Assad potesse essere incluso nel processo di transizione politica del potere che dovrebbe risolvere la guerra civile, ossia è entrato nel solco tracciata dalla Russia (e dall’Iran).

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