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Che cosa prevede il Patto per un Islam italiano

Un patto di dieci punti sottoscritto da undici associazioni che rappresentano il 70 per cento delle comunità islamiche italiane. E’ il “Patto nazionale per un Islam italiano”, firmato il 1° febbraio al Viminale dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, e dai rappresentanti di quelle associazioni e costituisce un altro passo importante a favore dell’integrazione da un lato e della lotta al radicalismo jihadista e al terrorismo dall’altro. “Uno straordinario investimento per il futuro” l’ha definito Minniti che sta dando un’accelerata alle politiche connesse all’immigrazione e alla sicurezza. “E’ un patto che allude in prospettiva a un’intesa – ha detto il ministro – , l’hanno firmato associazioni che hanno storie e sensibilità differenti e che in altri momenti non avrebbero sottoscritto un documento comune. Tutti i firmatari si sono impegnati a rifiutare qualunque forma di guerra e di terrorismo”. I prossimi obiettivi saranno un albo degli imam e una vera “intesa” codificata con i musulmani, dopo incontri con le comunità e con i musulmani di seconda generazione.

“La prima parte del Patto – ha proseguito Minniti – richiama i valori della Costituzione italiana, che sono i valori dei firmatari, valori che tutti insieme ci impegniamo a difendere. Il cuore del documento è il giusto equilibrio tra diritti e doveri”. Tra i dieci punti, si sottolinea che “la libertà di culto è una delle libertà inalienabili e che lo Stato non dà regole alle religioni, ma può fare intese”. Minniti non ha usato mezzi termini parlando di sicurezza, con toni che spesso a sinistra si fa fatica a esprimere con chiarezza: è “un grave errore l’equazione tra immigrazione e terrorismo, ma è un errore anche dire che non c’è rapporto tra mancata integrazione e terrorismo. L’attentato di Charlie Hebdo – ha proseguito il ministro -–ha dimostrato che livelli di integrazione non adeguati formano un brodo di coltura per i terroristi”.

Gli imam “fai da te” sono “un grande pericolo” e per questo si dovrà arrivare a un albo di imam riconosciuti. Inoltre, nel patto ci si impegna a contrastare il radicalismo religioso, a garantire che i luoghi di preghiera siano accessibili a visitatori non musulmani e che il sermone del venerdì sia “svolto o tradotto in italiano”, insieme con la massima trasparenza sui finanziamenti ricevuti per la costruzione e le gestione di moschee e luoghi di culto.

Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, ha detto di aver firmato “con sommo orgoglio” il Patto che dovrà essere ratificato dall’assemblea dell’Unione. Elzir, imam di Firenze, ha sottolineato che l’accordo si basa sui patti di cittadinanza che “la nostra comunità ha già sperimentato con successo a Firenze e Torino”. L’imam Yahya Pallavicini, presidente del Coreis, si augura che il Patto “possa portare al riconoscimento delle voci autentiche della religiosità islamica”, ma c’è anche chi aggiunge che il punto cruciale sarà l’intesa: lo dice Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia o Grande Moschea di Roma. Secondo Redouane il Patto “non potrà essere né alternativo né sostitutivo rispetto alla regolamentazione del rapporto tra Stato e Islam così come contemplata dalla Costituzione della Repubblica italiana, ovvero dall’istituto dell’intesa”. Il Centro islamico presenterà ufficialmente una proposta in questo senso, ma fin d’ora sembra chiaro che sia interesse comune (a cominciare dallo Stato italiano) definire al meglio l’intera questione.

(Il documento completo per il Patto nazionale per un Islam italiano)

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