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Ecco cosa le élite non comprendono di Donald Trump

Lingotto, 5 stelle, molestie

Imprevedibile, capriccioso, diffonditore di fake news, senza un programma se non quello di mettere alla berlina e cancellare le “conquiste” dell’America democratica. Così i media, in stragrande maggioranza, e l’opinione pubblica benpensante, ci aveva presentato Donald Trump. E così continua ancora, almeno in parte, a presentarcelo a dieci giorni dal suo insediamento. Che la realtà di questi dieci giorni di iperattivismo suffraghino questa immagine di comodo, non sembrerebbe proprio. Quello che dall’azione di Trump, a volte convulsa, emerge è un disegno tutto sommato preciso, chiaro, lineare. E se ancora dubbi persistono su molti punti specifici della sua azione politica, è perché Trump si è proposto di rimescolare e cambiare completamente le carte della politica americana e mondiale. Ma non lo fa in modo casuale.

Il fatto nuovo, di cui Trump è espressione, è la polarizzazione dell’America politica: un fenomeno che data almeno da una decina di anni a questa parte. È finito il tempo in cui il cittadino-elettore medio americano poteva, con estremo pragmatismo, in base ai leader o ai programmi, scegliere di volta in volta se votare il partito democratico o quello repubblicano. Quella convergenza al centro sui valori comuni dell’America, oggi non esiste più. Esiste, al contrario, un paese spaccato, diviso in due. Due Americhe tagliate da un filo ideologico, prima che sociale, nel tempo in cui sembrava che le ideologie, a maggior ragione nel paese che non le aveva mai vissute, sarebbero state definitivamente messe in soffitto. La prima ideologia è senza dubbio quella liberal che si è diffusa a macchia d’olio, in questi anni, dai campus, ove aveva fatto la sua comparsa negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso (come prosecuzione e istituzionalizzazione in qualche modo dei movimenti dei diritti della New Left del decennio precedente), ai centri di decisione politica, ai media fino alla società civile e all’ordinamento giuridico. Certi stilemi di pensiero, di un pensiero fra l’altro privo di spessore e senso storico, fortemente ideologico, sono diventati comuni a mezza parte dell’America, quella più istruita ma ciò poco significa: anche essere istruiti in una società democratica realizzata non significa possedere quella Cultura con la c maiuscola, classica e critica, che era il nocciolo dell’educazione delle élite nelle generazioni precedenti. Come reazione all’ideologia del politically correct, che, soprattutto con l’intelllettuale Obama e in parte con Hillary Clinton, ha egemonizzato il Partito Democratica, l’altra America, legata ai valori tradizionali, è insorta.

Questa America, crisi economica o no, è sempre esistita: quello che è venuto meno è il ruolo di compensazione, mediazione, incanalamento, delle sue idee e pulsioni, da parte dei grandi partiti. I repubblicani, normale bacino di confluenza di questa America, ha, non da oggi, perso un baricentro: si è frantumato in diversi gruppi, ognuno portatore settariamente delle proprie esigenze: i liberisti del Tea Party, i cristiani dellle chiese, i conservatori moderati dell’élite tradizionale, i patriottici nazionalisti più o meno fautori dell’ “eccezionalissimo” americano, ecc. Trump, con le sue capacità di comunicatore, ha giocato la sua partita soprattutto sul terreno che accomunava tutte queste anime del partito e, in genere, l’altra America: la lotta al “politicamente corretto”.

Vinta la partita, insediatosi, con un’accurata politica delle nomine e delle “ricompense”, si propone di fatto come il federatore di un partito, che, fra l’altro, non ha mai sentito fino in fondo come il suo. Questo, fra l’altro, è per lui essenziale: con l’aiuto del Partito solamente, in una congiuntura particolarmente favorevole per un presidente americano, con il Congresso dalla sua parte, da qui a due anni (cioè alle prossime elezioni di Mid Term), Trump avrà tutto il potere necessario per realizzare la sua rivoluzione politica. La quale, come dicevo all’inizio,smembra delinearsi con un senso ben preciso. Che potremmo ascrivere senza dubbio alla casella del patriottismo. L’attenzione che, per i motivi suddetti, il presidente riserverà anche alle richieste e alle esigenze dell’anima liberale e liberista del suo fronte attutirà probabilmente il patriottismo nazionalistico, ma non c’è dubbio che da un punto di vista liberale i due pericoli più seri a cui si andrà incontro con questa presidenza si chiamino isolazionismo e protezionismo.

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