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Tutte le tensioni fra Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan su tasse e accise

La procedura d’infrazione va evitata, ma i 3,4 miliardi non si recuperano con l’aumento delle accise“. Firmato Matteo Renzi, che lunedì – nel passaggio del suo discorso dedicato al fisco e ai rapporti con l’Europa – ha lasciato spazio a pochissimi margini di manovra a Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan. I quali adesso – stando alla presa di posizione dell’ex premier – dovranno cercare altrove le risorse necessarie a fare la manovra chiesta da Bruxelles. Un’indicazione che poco prima lo stesso Renzi – per non dare adito ad alcun dubbio – aveva fatto mettere nero su bianco alla Camera ad alcuni dei deputati a lui più vicini.

LA MOZIONE DEGLI IPER-RENZIANI 

Dopo le polemiche che l’avevano accompagnata nei giorni scorsi, proprio ieri è stata depositata a Montecitorio quella che giornali e politici hanno già ribattezzato mozione Fanucci, dal nome del suo primo firmatario Edoardo Fanucci. Un renziano di ferro – eletto nel 2013 in Toscana – che ricopre dal 2015 il ruolo di vicepresidente della commissione Bilancio della Camera. Oltre alla sua, compaiono in calce al documento anche le firme di altri deputati legati all’ex presidente del Consiglio tra cui Anna Ascani, Marco Di Maio, Marco Donati, David Ermini, Yoram Gutgeld e Dario Parrini.

LE ACCISE NON SI TOCCANO

Con il documento i firmatari chiedono al governo “di reperire le risorse necessarie per la correzione dei conti richiesta dalla Commissione europea unicamente dal taglio alla spesa pubblica improduttiva e dalla lotta all’evasione fiscale, senza incidere sulla revisione delle accise su tabacchi e carburanti al fine di scongiurare l’aumento della pressione fiscale“. Le accise non si toccano dunque, nonostante questa strada sia stata ipotizzata da Padoan in persona nel corso del suo recente intervento alla commissione Bilancio del Senato.

IL PIANO DI PADOAN E I PIANI DI RENZI

Il piano ipotizzato dal ministro dell’Economia prevedeva di far fronte alla richieste di Bruxelles attraverso tre misure fondamentali: l’intensificazione della lotta all’evasione fiscale, il taglio della spesa inefficiente e l’aumento delle accise su tabacchi e carburanti. Una ricetta – com’è logico presumere in questi casi – concordata con Gentiloni a cui Renzi, però ha opposto il suo no. Sia dal palco della direzione Pd, sia con un atto ufficiale presentato alla Camera da una serie di deputati di fiducia della quale – per la cronaca – non fanno parte  i renziani con una vicenda politica storicamente vicina a Gentiloni. In calce alla mozione non ci sono, ad esempio, le firme dei romani Michele Anzaldi, Lorenza Bonaccorsi e Roberto Giachetti i quali hanno tutti condiviso in passato alcune esperienze politiche con l’attuale presidente del Consiglio.

IL GOVERNO ALLA DIREZIONE PD

Quale sia stata la reazione del governo alla mozione Fanucci non è dato sapere, anche se nei giorni scorsi in molti hanno parlato di un clima di irritazione a Palazzo Chigi. Un’intepretazione che, però, sembrerebbe sconfessata dalla presenza alla direzione Pd sia di Gentiloni – seduto al fianco di Renzi – che di Pier Carlo Padoan. E lo stesso ex sindaco di Firenze – per stemperare i toni – ha ironizzato nel corso del suo intervento: “La mozione un avvertimento verso Gentiloni? Dalle opposizioni hanno detto: il segretario dovrà confermare stima e lealtà verso Gentiloni. Sono molto lieto di farlo. Massima stima e amicizia di tutto il Pd. Nel rapporto decennale che ci lega non è la lealtà che manca“. La teoria di una frattura tra i due, insomma, sembra difficile da sostenere, anche perché i rispettivi obiettivi di medio termine potrebbero essere ancora una volta convergenti.

IL NODO TASSE E LE ELEZIONI

La mozione, dunque, andrebbe letta per quello che è: l’invito a non alzare le tasse soprattutto in una fase d’incertezza politica come l’attuale, in cui è ancora in pista l’ipotesi del voto anticipato. Aumentare la pressione fiscale non sarebbe, in questo senso, il modo migliore per ripresentarsi agli elettori. E che le prossime elezioni politiche in tutta questa vicenda abbiano un ruolo, sembra confermato anche dalle altre parti del testo della mozione in cui vengono elencati dai firmatari gli interventi messi a punto da Renzi per abbassare la pressione fiscale durante i quasi tre anni del suo governo.

RENZI E LE TASSE

Da questo punto di vista nel documento viene citata, innanzitutto, l’eliminazione dell’Imu “sulla prima abitazione“, “sugli imbullonati” e “sui terreni per le imprese agricole“. E poi ancora la riduzione dell’Ires – l’imposta sul reddito delle società – passata “dal 27,5 per cento al 24 per cento a partire dal 2017, con uno sgravio fiscale complessivo di 3,8 miliardi di euro nel primo anno e di circa 4 miliardi nel secondo“. Tra gli altri interventi, gli estensori del documento hanno poi rivendicato “l’esenzione Irpef per chi ha una pensione che non supera 8.125 euro, anche se ha meno di 75 anni” e “la neutralizzazione, anche per il 2017, delle «clausole di salvaguardia» che per rispettare gli obiettivi di finanza pubblica avrebbero causato l’aumento automatico dell’iva e delle accise“. Il tutto condito dai famosi 80 euro in busta paga decisi da Renzi all’inizio della sua avventura a Palazzo Chigi. La somma di tutte queste misure – hanno sottolineato ancora i firmatari – “ha portato la pressione fiscale al 42,1 per cento nel 2016, dal 43,6 del 2013, come certificato dalla nota di aggiornamento del Def 2016“.

IL DIBATTITO SULLA DATA DEL VOTO

Un elenco che potrebbe essere ripetuto più volte nel corso della battaglia congressuale del Pd (qui l’articolo sul tema del notista di Formiche.net Francesco Damato) e poi eventualmente – in caso di vittoria di Renzi – anche nella campagna elettorale per le prossime elezioni politiche. Un appuntamento sul quale grava – almeno dal punto di vista renziano – lo spettro della legge di bilancio per il 2018 da approvare, come da prassi, entro la fine di quest’anno. La manovra – visto il clima di incertezza sia interno che internazionale – si preannuncia difficoltosa: motivo per il quale si starebbe facendo largo l’ipotesi di tornare alle urne – se non direttamente a giugno – almeno a inizio autunno, in modo da avere un governo forte che l’approvi e da evitare che possa essere scontata dal Partito democratico al momento del voto. Una strategia – si mormora in Transatlantico – che avrebbe anche l’appoggio di Paolo Gentiloni.

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