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Tutti i prossimi passi di McMaster con Trump

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L’insediamento del generale H.R. McMaster in qualità di nuovo National Security Adviser del presidente Trump potrebbe avere ragioni più profonde e strutturate rispetto alla sola necessità di rimpiazzare il generale Michael Flynn, fiaccato dall’accusa di aver mentito all’Fbi e di aver nascosto delle conversazioni telefoniche in tema di sanzioni internazionali con l’ambasciatore russo a Washington.

Il nuovo National Security Adviser perseguirà, secondo quanto si dice a Washington, una strategia di riavvicinamento alla comunità intelligence statunitense con l’obiettivo di rivedere radicalmente le policy di sicurezza adottate durante il breve mandato del generale Flynn.

McMaster sta seguendo in queste ore una fitta agenda di incontri all’Eisenhower Building, dove risiede la maggior parte dei funzionari che si occupano di sicurezza nazionale. Ai faccia a faccia seguiranno delle riunioni di staff pianificate secondo un calendario di ampio respiro. Tale strategia, rivolta a ricucire lo strappo con i vertici della comunità intelligence, ha già ricevuto apprezzamenti sia da parte democratica sia repubblicana e l’atteggiamento pragmatico di McMaster starebbe contribuendo a superare gli attriti sorti durante la permanenza di Flynn nell’incarico.

Secondo fonti governative anonime più volte citate dalla stampa internazionale, l’apertura e il pragmatismo di McMaster sarebbero il preludio di una riorganizzazione delle strutture di vertice che si occupano di sicurezza nazionale alla Casa Bianca.

Il riassetto in questione ruoterebbe intorno a due provvedimenti che l’amministrazione potrebbe adottare sin dai prossimi giorni: al fine di avere un maggiore controllo sulle agenzie e sull’intelligence militare, il National Security Adviser si prepara a chiedere il controllo dell’Homeland Security Council, che sarebbe posto all’interno del National Security Council. L’iniziale separazione tra le due strutture era stata interpretata come un modo per limitare il potere del generale Flynn. Superato tale ostacolo, potrebbe essere più agevole e proficuo il tentativo di estendere le prerogative del National Security Adviser anche alla sfera dell’Homeland Security.

Il secondo provvedimento al vaglio dell’amministrazione consisterebbe nel reintegrare il Director of National Intelligence (Dni) e il vertice del Joint Chiefs of Staff (una sorta di Stato Maggiore congiunto) in un comitato di gabinetto, così da meglio coordinare l’interscambio informativo con la Casa Bianca.

Appare ancora poco chiaro se tali provvedimenti possano incidere sul ruolo e sulle prerogative di Steve Bannon, chief strategist del presidente Trump, a cui è stato già assegnato un seggio nel National Security Council. Secondo il parere di diversi osservatori, come già descritto in questo articolo di Formiche.net, sarebbe opportuno bilanciare il potere e le prerogative di Bannon, soprattutto alla luce delle sue posizioni oltranziste, frequentemente oggetto di critiche nel Congresso sia da parte democratica sia repubblicana.

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