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Ecco stilettate e scivolate di Matteo Renzi da Fabio Fazio a Che tempo che fa

Matteo Renzi non ha voluto lasciargliela passare a Walter Veltroni, che accusandolo di non aver fatto abbastanza per evitare la scissione del Pd gli aveva in qualche modo opposto l’esempio da lui dato nel 2009: quando l’allora segretario del partito aveva preferito rinunciare davvero alla carica, senza riproporsi al successivo congresso, per non comprometterne l’unità.

Ospite di Fabio Fazio a Rai 3, e fresco della sua breve trasferta in California, Renzi ha risposto sotto traccia, e neppure tanto, dichiarando di apprezzare altri passaggi dell’intervista di Veltroni a Scalfari, per esempio quello sulla “scissione dell’atomo” della sinistra, ma precisando di avere voluto rimanere in pista per ragioni “ideali”, non di potere o di pura ambizione personale. E ciò anche perché, secondo lui, il libro o il disegno della scissione era stato già scritto da Massimo D’Alema.

Nel riaffermare il diritto di portare avanti la sua battaglia, ripeto, “ideale” Renzi ha chiamato in causa anche i figli e, più in generale, la famiglia con cui si è consultato prima di rinunciare al proposito, espresso durante la campagna referendaria sulla riforma costituzionale, di ritirarsi dalla politica se avesse rimediato una sconfitta. Che è stata peraltro peggiore, per dimensione, di ogni cattiva previsione.

La risposta di Renzi a Veltroni, pur nel contesto -ripeto- di un giudizio positivo su altri passaggi dell’intervista del suo amico Walter, deve considerarsi valida naturalmente anche per Roberto Speranza, il segretario in pectore del nuovo partito a sigla rovesciata – Dp anziché Pd – annunciato come movimento.

Anche Speranza, qualche ora prima dell’arrivo di Renzi nello studio televisivo di Fazio, aveva accusato, anzi riaccusato l’ex presidente del Consiglio di essersi dimesso “egoisticamente” da segretario del partito per finta, e non davvero, come avevano fatto “generosamente” Veltroni nel 2009 e Pier Luigi Bersani nel 2013. In una sequenza -debbo dire -un po’ lugubre per un partito, vista la capacità o addirittura il diritto rivendicato così dalle minoranze di turno di abbattere i segretari liberamente eletti dai congressi e dalle primarie, senza lasciare loro altra possibilità che il ritiro definitivo dalla scena: una strana concezione della democrazia in un partito. Dove invece Renzi ritiene che la minoranza debba accettare il confronto e contendere la guida del partito misurandosi con l’avversario di turno.

“Vieni e vediamo chi ha più voti”, ha detto Renzi da Fazio sfidando inutilmente D’Alema, l’autore – ripeto – del libro già scritto della scissione.

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Alle sfide tipiche del suo stile, fra le quali quelle della riduzione dell’Irpef e dell’introduzione del “lavoro di cittadinanza”, al posto del parassitario “reddito di cittadinanza” proposto dai grillini -e condiviso da Roberto Speranza in nome del primo articolo della Costituzione, centrato però sul lavoro e non sul reddito- Renzi ha aggiunto una gaffe grande come una casa. Della quale credo che si sarà affrettato a chiedere scusa a Sergio Mattarella.

In particolare, pur di tirarsi fuori dalle polemiche sulla volontà attribuitagli a lungo di volere le elezioni anticipate, anche dopo essersi dimesso temporaneamente da segretario del partito, Renzi ha detto che la materia è ora di competenza del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. “Deciderà lui”, ha detto testualmente.

Peccato, per Renzi e per lo stesso Gentiloni, se gliene dovesse venire davvero la voglia, che l’articolo 88 della Costituzione dia le chiavi dello scioglimento anticipato delle Camere solo al capo dello Stato, “sentiti i loro presidenti”.

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Due parole infine sulle indagini per gli affari miliardari della Consip in cui è stato coinvolto anche il padre di Renzi, Tiziano, oltre al fedele ministro Luca Lotti e all’amico imprenditore Carlo Russo: indagini alle quali è stato appena chiamato dalla Procura di Roma a contribuire come testimone il governatore pugliese, e anche lui candidato a segretario del Pd, Michele Emiliano.

Renzi ha reclamato, giustamente, “processi nei tribunali e non sui giornali”, ha evitato giudizi sul doppio ruolo di candidato e di testimone del suo avversario Emiliano ed ha assicurato di “fidarsi dei magistrati”.
Personalmente non ho visto fare a Renzi, a quel punto, scongiuri di alcun tipo. Che sarebbero stati del resto troppo clamorosi. E forse anche troppo rischiosi, per sé e per il padre. Decisamente meglio così.

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