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Tutti i legami fra i gesuiti e Tom Perez, il nuovo leader dei democratici Usa

Cattolico, ha studiato dai gesuiti, e chi lo conosce non ha dubbi: il modo in cui prende le sue scelte politiche è profondamente ignaziano. È Tom Perez, eletto sabato scorso nuovo presidente del Democratic party. L’uomo che dovrà cercare di risollevare le sorti del partito dell’asinello dopo la batosta Trump, in un panorama terremotato per i dem – negli ultimi dieci anni hanno perso mille seggi tra Congresso e parlamenti locali – è stato ministro del Lavoro nella Casa Bianca di Barack Obama e precedentemente procuratore generale per i Diritti civili al ministero della Giustizia.
È considerato uomo di establishment, proprio per la sua vicinanza a Obama e Hillary Clinton, di cui è stato tra i primi sostenitori nella corsa presidenziale. Inevitabile delusione per l’ala liberal di Bernie Sanders che aveva sperato in una virata a sinistra puntando sull’afroamericano Keith Ellison, primo musulmano ad entrare a Capitol Hill. Perez ha messo a tacere i malumori nominandolo immediatamente suo vice. Per i conservatori Usa in realtà è un radicale. Curriculum e biografia ne fanno un cattolico probabilmente in sintonia con molti punti dell’agenda di Papa Francesco. Sicuramente gradito agli ambienti liberal della Chiesa Usa.

FIGLIO DI ESULI DOMINICANI E BACKGROUND GESUITA

I genitori di Perez sono entrambi esuli provenienti dalla Repubblica Dominicana. Il nonno materno, ex ambasciatore negli Stati Uniti, è stato costretto all’esilio dopo aver denunciato il massacro del dittatore dominicano Raphael Trujillo di migliaia di haitiani nel 1937. Avvocato, 55 anni, Perez ha studiato alla Canisius High School di Buffalo, Ny, scuola privata diretta dalla Compagnia di Gesù. A Washington ha frequentato una parrocchia dei gesuiti. La moglie ha uno zio prete della Compagnia, padre John M. Staudenmaier. Il padre ha detto al magazine dei gesuiti Usa, America, che il collegamento dei gesuiti di Perez è evidente nel modo in cui prende le sue decisioni. Non usa la parola tecnica, ma il tono rimanda al processo del discernimento: scegliere nella preghiera. Parlando lo scorso anno agli allievi dell’Arrupe College of Loyola University di Chicago, Perez ha evidenziato il ruolo importante dell’educazione gesuita nella sua vita e nella sua famiglia. Ha scherzato sulla Jug (una sorta di punizione per gli scolari indisciplinati che consisteva in servizi da svolgere nel dopo scuola) ma soprattutto ha evidenziato l’influenza della fede cattolica nel suo impegno per “i diritti civili e dei lavoratori”. Cita a suo modello di riferimento il padre gesuita Horace McKenna, “l’apostolo dei poveri”, che ha passato una vita di impegno per la giustizia sociale.

DA UNA FAMIGLIA “MATTEO 25”

A Chicago, Perez ha ricordato di essere cresciuto in una famiglia “Matteo 25”, il passo evangelico che è la magna charta della giustizia cristiana: “I miei genitori mi hanno insegnato che se qualcuno ha fame, gli si dà da mangiare; se ha sete, da bere. E ad accogliere i forestieri”. “I gesuiti – aggiungeva – hanno sempre predicato l’urgenza di non stare in silenzio di fronte all’ingiustizia, alla diseguaglianza economica e agli attacchi alla libertà religiosa”. Già la libertà religiosa. Questo è un punto cruciale anche nel rapporto dem con l’episcopato americano. E ovviamente nell’attacco a Trump. Che ne ha preso l’elezione a capo democratico come d’abitudine: ironizzando. In un tweet si è congratulato: “Non potrei essere più felice per lui, o per il Partito repubblicano”. Poi ha rincarato la dose, parlando di “elezione truccata” perché “la Clinton voleva Perez”. Tanto per non alludere alla prossimità con l’Hillary “corrotta”, refrain della scorsa campagna presidenziale.

LIBERTÀ RELIGIOSA E MUSULMANI

Recentemente la Conferenza episcopale Usa ha diramato una nota, invitando The Donald a mantenere la promessa di rispettare la libertà religiosa. I vescovi ricordavano i limiti posti dal governo federale negli ultimi anni, quelli di Obama, all’obiezione di coscienza sui temi della vita e contro l’aborto. Pur rimarcando che la libertà religiosa è “un diritto di tutti gli esseri umani”, non fanno cenno esplicito alla libertà dei musulmani, nel mirino di Trump. La cosa non è passata inosservata negli ambienti più liberal del cattolicesimo americano, che hanno rimproverato di distratto silenzio i vescovi. Anche se gli stessi vescovi poche settimane prima avevano espresso solidarietà ai musulmani per il muslim ban. Perez dei diritti dei musulmani ha detto più volte. A Chicago, l’estate scorsa, ha paragonato la loro situazione attuale a quella dei cattolici nel secolo scorso, quando si diceva “che non si può essere insieme un buon cattolico e un buon americano”. Una storia di discriminazione – ha aggiunto – dove cambiano le fedi, ma è identica la narrazione di intolleranza. Se Trump vuole cacciare i clandestini, Perez è schierato al fianco dei lavoratori immigrati privi di documenti – se ne stimano 11 milioni. E nel marzo scorso ha citato implicitamente Bergoglio: “La soluzione non è quella di costruire muri. La soluzione è quella di abbattere le barriere”.

IL BAROMETRO CATTOLICO

Le prossime mosse di Perez leader dem saranno da tenere d’occhio per leggere i movimenti negli opposti schieramenti politici del cattolicesimo Usa. Dove c’è Trump che difende la vita e convince. Come ad esempio per l’ordine esecutivo che ha ristabilito il Mexico City Policy per bloccare finanziamenti alle Ong che promuovono l’aborto. O la nomina di un giudice pro life, Neil Gorsuch, alla Corte suprema. Ma c’è anche il Trump dei confini e dei muri. Quello del riarmo. Tutto il contrario del quotidiano richiamo del Papa per gli ultimi e i migranti. Un’agenda che Perez fa sua. Con le sue divisioni in campo. La stampa cattolica più liberal è compatta contro The Donald. E in prima linea ci sono le pubblicazioni dei gesuiti americani. Quella conservatrice indaga le contraddizioni dei cattolici dem. E fa le pulci anche a Perez.

DA SEMPRE NEL MIRINO DEI CONSERVATORI

Nel suo passato di attivista per i diritti umani, il nuovo presidente democratico è stato coordinatore di Casa de Maryland, un’associazione che offre assistenza agli immigrati latinos, anche se privi di documenti. Un’associazione che ha ricevuto ingenti finanziamenti dal miliardario liberal George Soros. E Soros ha tra l’altro sostenuto largamente i gruppi che attaccavano i vescovi Usa che si opponevano all’Obamacare che impone anche agli ordini religiosi di finanziare ai propri dipendenti servizi per l’aborto e la contraccezione. Per il fondatore di Liberty Counsel, organizzazione che si batte per la libertà religiosa, la sacralità della vita e la famiglia, come procuratore per i Diritti civili, Perez ha politicizzato il dipartimento. Nel 2012 si vantava di avere aperto 20 indagini sulla presunta violazione alla libertà di accesso nelle cliniche abortiste da parte di attivisti pro life. Non sempre tutte le azioni legali sono andate a buon fine. Ad esempio: uno di quegli attivisti è stato risarcito per 120mila dollari di spese legali dall’amministrazione Obama dopo che il giudice aveva rigettato le accuse. Un altro punto che fa arrabbiare i conservatori è la sua vicinanza ai diritti dei transgender. Comprese le misure adottate nelle scuole e nelle università per garantire ai trans di vestire in classe come meglio credono e di scegliere i servizi igienici preferiti. Norme regolamentate da Obama e cancellate da Trump. Con il plauso dei vescovi. Da procuratore per i Diritti civili si è attirato le ire dei repubblicani anche per l’impegno contro gli abusi della polizia nei confronti degli immigrati o di persone di colore. A far imbufalire i conservatori, l’equiparazione di Perez tra l’abuso di poliziotti infedeli con il crimine d’odio e la discriminazione razziale.

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