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Come si allarga il Russiagate di Trump

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Mentre il presidente americano Donald Trump è occupato su Twitter a difendersi, contrattaccando, la questione dei contatti tra i suoi uomini e funzionari russi di vario genere sta diventando sempre più ampia. Partita mesi fa, durante la campagna elettorale per verificare se dietro alle ingerenze russe nelle presidenziali (quelle degli attacchi hacker contro i democratici per screditare la candidata Hillary Clinton) ci fosse un piano condiviso con Trump, ora come scrive il Guardian potrebbe diventare il “Watergate di Trump”.

I PEZZI GROSSI

L’indagine, e le fughe di notizie collegate, ha già portato alle dimissioni del Consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn – accusato di aver mentito sui suoi rapporti con l’ambasciatore russo in America – e alla ricusazione di Jeff Sessions. Sessions, segretario alla Giustizia, ha deciso di fare un passo indietro sull’indagine che l’Fbi e il dipartimento che dirige stanno conducendo proprio su quello che ormai viene chiamato “Russiagate”, e lo ha fatto perché è emerso che anche lui ha avuto contatti sospetti con quello stesso ambasciatore, Sergei Kislyak: contatti su cui ha mentito durante l’audizione di conferma al Congresso, sotto giuramento. Negli ultimi giorni il New Yorker ha scritto che anche Jared Kushner, marito di Ivanka Trump e advisor della Casa Bianca, avrebbe avuto incontri con Kislyak e sono continuate ad uscire informazioni su altri elementi di Trump con collegamenti poco chiari con Mosca. Successivamente Hope Hicks, che è una delle figure centrali nella comunicazione del presidente, ha confermato al New York Times che Kushner si è visto con il diplomatico russo alla Trump Tower di New York a dicembre scorso, ossia circa un mese dopo delle elezioni: al meeting, che ufficialmente aveva lo scopo di stabilire “una linea di comunicazione” con Mosca, partecipò anche Flynn. Qui il caso si intreccia, perché il Consigliere aveva avuto contatti con Kislyak in cui con ogni probabilità aveva discusso del sollevamento della sanzioni imposte alla Russia per via dell’aggressione all’Ucraina, ma sembrava che fossero solo conversazioni via telefono (anche messaggi), e invece le ultime notizie parlano pure di un incontro faccia a faccia durato venti minuti.

LE ULTIME SUI PESCI PICCOLI

Non finisce qui: negli ultimi giorni sono emersi anche altre due nomi nuovi, più altre storia su due già noti. Il primo, J.D. Gordon, ex funzionario del Pentagono e membro del team di sicurezza nazionale di Trump, che avrebbe anch’egli incontrato Kislyak durante la convention repubblicana di Cleveland; Gordon fu colui che cercò di rimodulare l’azione politica dei repubblicani sull’Ucraina, opponendosi alla possibilità di fornire armi difensive non letali all’esercito di Kiev (in realtà dunque non un nuovissimo dell’inchiesta). Il secondo è Jason Greenblatt, membro dello staff elettorale e ora consulente per gli affari internazionali della Casa Bianca, che si sarebbe visto con Berel Lazar, rabbino milanese, figura apicale dell’ebraismo in Russia e molto intimo di Vladimir Putin (Lazar ha detto che in quell’incontro si è discusso di ebrei e Russia, niente di strano, e ricorda di non averne nemmeno parlato con Putin). Uno dei nomi noti è Paul Manafort, ex capo della campagna Trump costretto a dimettersi perché si era scoperto che un pagamento a suo conto da parte dell’ex presidente russofilo ucraino Victor Yanucovich, di cui era stato consulente, non era tracciabile, forse era stato tenuto coperto. Manafort anche durante la campagna elettorale di Trump avrebbe mantenuto i rapporti con Konstantin Kilimnik, ex traduttore militare ucraino accusato da Kiev di aver lavorato come spia a favore dei russi. Politico ha rivelato inoltre che alla convention repubblicana Kislyak avrebbe avuto anche una conversazione riservata con Carter Page, membro dello staff di Trump che si occupa di politica estera, e già noto per le sue relazioni in Russia: incontri che si sono verificati il 20 luglio, nello stesso giorno in cui l’ambasciatore ha visto Sessions (poi incontrato di nuovo a settembre) e Gordon.

CHE SUCCEDE?

Questo genere di incontri non sarebbero così sospetti se non fosse che adesso ogni contatto tra gli uomini di Trump ed elementi russi è messo sotto la lente dal controspionaggio dell’Fbi. Il motivo è chiaro: lo scenario in cui Mosca si offre di dare una mano sporca per la vittoria di un candidato per la presidenza degli Stati Uniti è un soggetto da film che nella realtà potrebbe diventare il più grosso scandalo della storia americana. I sospetti aumentano anche perché sia Trump sia i suoi uomini mantengono un atteggiamento ambiguo, secondo alcuni osservatori. Per esempio, perché sia Flynn che Sessions hanno mentito su quegli incontri? O ancora, la scorsa settimana Axios ha avuto uno scoop in esclusiva: Sean Spicer, il portavoce della Casa Bianca, avrebbe fatto in modo di mettere in contatto due giornalisti, uno del Washington Post e un altro del Wall Street Journal, con il capo della Cia Mike Pompeo e con il presidente della Commissione intelligence del Senato, Richard Burr (repubblicano). Il compito dei due sarebbe stato quello di convincere i giornalisti che un articolo uscito il 15 febbraio (ossia due giorni dopo delle dimissioni Flynn) sul New York Times a proposito di contatti tra uomini di Trump e operativi dei servizi segreti russi dava informazioni false. Pompeo e Burr non furono molto convincenti, e questa bizzarra (“bizzarra” perché di solito il direttore della Cia non smentisce questo genere di informazioni alla stampa) situazione s’è conclusa con i giornalisti poco convinti che hanno riportato nei loro articoli l’impegno della Casa Bianca nell’insabbiare quella storia.

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