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Fincantieri, ecco chi vuole intralciare Bono in Francia

Mucchetti Mediaset Calenda

Ieri sera l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, è stato ascoltato dalla Commissione Industria del Senato nel quadro dell’indagine sui risultati delle società controllate dallo Stato in vista delle nomine. Nell’occasione, Bono ha fatto il punto sui negoziati per l’acquisizione del controllo di STX France, che controlla i Chantiers de l’Atlantique: “Siamo ormai in stallo”, ha detto. E’ una situazione inaccettabile. Che può essere superata solo con un ulteriore impegno del Governo italiano sia nei rapporti con quello francese, che detiene un terzo del capitale dei Chantiers, e dunque la minoranza di blocco, sia verso la Commissione UE. L’Italia ha aperto le porte agli investimenti delle imprese francesi. Anche troppo. Va detto senza mezzi termini che l’azionista pubblico francese non può impedire in modo obliquo al concorrente italiano di acquisire la maggioranza dell’azienda di Saint Nazaire da una società coreana in fallimento.

Se in Francia si forma un soggetto capace di formulare un’offerta migliore di quella italiana senza aiuti di Stato, amen. Certe iniziative in extremis sono sempre dubbie, ma se esistono investitori veri ne prenderemo atto. Non può essere subita, invece, una “resistenza” opaca dagli effetti perversi. Fermare con l’intervento della politica un accordo già fatto come quello tra i coreani e Fincantieri indebolisce i Chantiers nel negoziato con il gruppo Aponte per due navi da crociera più l’opzione per altre due. Si tratta di una fornitura cruciale al fine di saturare la capacità produttiva dei cantieri francesi altrimenti soffocati dai costi fissi. D’altra parte, per il gruppo Aponte trattare con una Fincantieri che avesse integrato i Chantiers è più difficile che trattare con i Chantiers abbandonati a sé stessi. E’ questo un passaggio delicato.

Non vorremmo che il governo di Parigi, utilizzando la sua posizione nell’azionariato, spingesse l’azienda ad accettare la commessa a prezzi stracciati. È evidente che, in tal modo, un’operazione commerciale in apparenza fisiologica si trasformerebbe in una pillola avvelenata che costringerebbe Fincantieri a ritirarsi per non compromettere i suoi equilibri. Ma una tale “pillola” comporterebbe nuove forme di sostegno pubblico ai conti dei Chantiers per turare le falle di una commessa in perdita. Tali sostegni sarebbero contestabili quali aiuti di Stato. Ma perché dover arrivare per forza a questi pubblici contrasti?

Il governo e gli enti locali francesi dovrebbero considerare i vantaggi di una collaborazione strutturale con Fincantieri che potrebbe essere utilmente estesa ai cantieri militari della Dcns. Il sindaco di Saint Nazaire, in particolare, dovrebbe considerare l’attenzione al sociale tipica di Fincantieri che è riuscita a tenere in vita tutti i cantieri italiani. Ma alla fine l’Italia e la Francia dovranno pur chiedersi perché nel 2006 l’Alstom ha potuto vendere senza problemi la maggioranza dei Chantiers alla norvegese Aker Yards e nulla il governo di Parigi ha eccepito quando Aker Yards è passata ai coreani della STX, poi falliti. E ora fa quello che fa a una azienda italiana, quotata in Borsa e con i conti in ordine?

P.S. Il gruppo Aponte, di origine sorrentina, è un grande gruppo multinazionale che a suo tempo trasferì il proprio quartiere generale a Ginevra. Credo che il governo italiano dovrebbe studiare tutte le strade praticabili per convincere questa grande impresa italiana a rimpatriare.

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