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Come si studiano le conseguenze psicologiche delle stragi Isis

C’è un aspetto del terrorismo che non è stato ancora studiato a fondo e del quale, purtroppo, si dovrà tenere conto nei prossimi anni: le conseguenze psicologiche degli attentati sulle vittime e sui loro parenti. L’Europa che da due anni piange nuovamente morti e feriti sul proprio territorio è costretta ad affrontare un altro tipo di emergenza che finora l’Italia ha conosciuto solo indirettamente: con le vittime occasionali in Paesi stranieri o con la presenza di turisti nelle zone colpite. Ecco perché fa da battistrada lo studio “La vita ai tempi del terrorismo. Psicologia e fiducia per gestire la paura e fronteggiare il male” curato dall’Ordine degli psicologi del Piemonte e presentato a Roma in un convegno organizzato insieme con il Cesi, il Centro studi internazionali.

Di fronte a quello che gli studiosi hanno definito “terrorismo post moderno”, il professore Luciano Peirone, psicoterapeuta torinese, ha promosso il primo lavoro coordinato (il cui ebook è scaricabile gratuitamente) su come affrontare questa nuova emergenza: nell’introduzione al libro tra l’altro scrive che “bisogna imparare a gestire correttamente la paura, senza negarla, bensì diventandone consapevoli”. Il fenomeno del terrorismo di matrice islamica presenta caratteristiche che Andrea Margelletti, presidente del Cesi, ha così riassunto: i terroristi che hanno colpito l’Europa negli ultimi due anni sono europei, cresciuti qui; colpiscono noi anche in quanto elettori, influendo sulle scelte politiche dei cittadini; alimentano l’odio nei loro confronti; costringono il nemico a difendersi, per cui i militari aumentano nelle strade anziché nei teatri di guerra.

Di particolare interesse è stato l’intervento di Donatella Galliano, psicologa dell’emergenza della Asl 1 di Cuneo e presidente della federazione nazionale “Psicologi per i popoli”, una delle strutture attivata dalla Protezione civile in caso di calamità naturali, come per i recenti terremoti e per la tragedia dell’hotel Rigopiano. Pochi sanno che Cuneo è gemellata con Nizza e per questo l’attentato del 14 luglio 2016 ha “coinvolto” la città piemontese perché molti suoi abitanti erano lì per le vacanze e perché ha poi curato dei feriti. “Chi si salva da un attentato – ha spiegato Galliano – prova vergogna e si sente in colpa anche soltanto per essersi messo al riparo, magari dietro a chi è poi morto. Mentre dopo un terremoto i superstiti fanno gruppo per ripartire, “dopo un attentato c’è paura, non ci si fida più di nessuno. La vittima si chiude e sviluppa ostilità. Ma con chi possiamo essere ostili se non conosciamo i terroristi?” si è chiesta la dottoressa. La reazione consiste dunque nel prendersela con il governo che non li ha protetti.

Anche gli psicologi attribuiscono grande importanza alla prevenzione perché, secondo Galliano, “se i genitori migranti si sentono umiliati da noi, non riescono a dare i giusti insegnamenti ai loro figli”, che è la stessa lettura di investigatori e intelligence quando sottolineano che il rischio di radicalizzazione può nascere in un giovane che sperava di trovare una nuova vita in Occidente e che invece si accorge che non avrà mai le stesse cose dei suoi coetanei europei a causa della mancata integrazione. Sul tema della prevenzione ha insistito anche Stefano Dambruoso, deputato di Civici e innovatori, ex magistrato antiterrorismo e autore con il pd Andrea Manciulli del disegno di legge su “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista” in discussione alla Camera. Quando sarà varata, la legge coinvolgerà ministeri e strutture pubbliche per avviare una controinformazione e un maggiore dialogo interreligioso, “tema quest’ultimo che dovrà essere imparato dagli insegnanti nei prossimi anni”, ha detto Dambruoso.

Qualcosa comunque si muove. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha firmato a nome dell’Italia un documento con altri sei Paesi europei (Belgio, Spagna, Francia, Ungheria, Romania e Repubblica Ceca) con il quale ci si impegna a favorire la nascita di una più organica politica europea di aiuto alle vittime del terrorismo. I sette Paesi dunque riconosceranno a tutte le vittime, indipendentemente dalla nazionalità o residenza, un’assistenza anche medica e psicologica, oltre agli indennizzi. L’Italia sa di essere nel mirino. L’ha ricordato, con inusuale chiarezza, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un passaggio della sua recente intervista alla Civiltà cattolica: “I nostri organismi di polizia e di informazione lavorano con molta capacità e con molto impegno. Li ho sempre ringraziati per l’azione preventiva che viene fatta e che non viene conosciuta, non emerge, non si vede, non viene narrata, ma è quella più importante e preziosa. Detto questo, comunque, il pericolo permane. Anche l’Italia ha ricevuto minacce, Roma particolarmente”. Più prevenzione, dunque, e anche più aiuto psicologico, prima e (speriamo il più tardi possibile) dopo.

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