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Perché Beppe Sala deve aprire il dossier Sea

GIUSEPPE BEPPE SALA

C’era una volta la gallina dalle uova d’oro, i voli tra Milano e Roma gestiti in posizione dominante da Alitalia. Poi l’alta velocità, collegando direttamente il centro delle due città, ha fortemente ridimensionato l’interesse a utilizzare l’aereo per andare o venire dalla capitale.

Se i voli si sono drasticamente ridotti, gli “slot” (spazi temporali  di decollo e atterraggio) sono rimasti come diritti utilizzabili da Alitalia per altre destinazioni. Quando Alitalia ha cessato di essere la “compagnia di bandiera” e ha messo in atto una serie di alleanze e di tentativi di integrazione con altri vettori questi slot, da una sorta di “monopolio naturale” si sono trasformati in posizioni di rendita poco giustificabili. Tanto meno accettabili per una società aeroportuale come la Sea che veniva danneggiata dalla destinazione intercontinentali di voli in transito da Linate ma diretti come tappa intermedia negli aeroporti concorrenti di Londra, Francoforte e Parigi. Per di più la dimensione limitata della sua flotta impedisce ad Alitalia di allargare l’offerta di voli da e per rotte fuori Ue che vengono svolti in condizione di reciprocità con le compagnie estere. Tutto ciò ha gravemente impoverito Malpensa, che avrebbe dovuto divenire un “hub”, perno del sistema dei voli intercontinentali, i più appetibili sotto il profilo dei volumi e della qualità del traffico e per tutte le altre attività collegate.

Da quando Alitalia ha dato il via al de-hubbing nel 2008 (allora i viaggiatori erano 28 milioni l’anno) in un raggio di 150 chilometri si sono persi a tutt’oggi, secondo uno studio della Bocconi, 14mila posti di lavoro. Non a caso il rapporto dei volumi di traffico tra Malpensa e Linate è di 2 a 1, mentre dovrebbe essere ragionevolmente di 3 a 1. Per di più Alitalia sta cercando di aumentare la frequenza dei voli all’interno degli slots a Linate. Ma non è finita. Ora spunta l’idea di allungare la pista per consentire il decollo e l’atterraggio dei grandi aerei destinati ai voli intercontinentali. Si farebbe di Linate un doppione di Malpensa che rischierebbe seriamente di essere quasi esclusivamente una base per i voli low-cost. Senza parlare degli effetti di ingovernabilità che ricadrebbero sul territorio a causa dell’inquinamento ambientale, acustico e per la  sicurezza di un volume di traffico aereo che supererebbe di molto gli attuali quasi 10 milioni di passeggeri.

Naturalmente le compagnie concorrenti di Alitalia non starebbero con le mani in mano. Già si annuncia un lungo e pesante contenzioso in sede europea e si profila il rischio di un defaticante pellegrinaggio dei voli tra Malpensa e Linate. D’altra parte bisognerebbe anche prendere atto della persistente mancanza di progettualità da parte di Alitalia, che, non riesce a uscire da una crisi permanente, con l’aggravante che nel settore del trasporto aereo non mancano certo le compagnie che macinano utili. Per tutte queste ragioni il Comune di Milano non può più permettersi il lusso di essere un azionista di riferimento silente che delega tutto al management.

Da notizie di stampa si apprende che è stato presentato il nuovo piano industriale Sea che prevede investimenti per 500 milioni di euro di cui una settantina a Malpensa e il resto a Linate per ammodernamento e restyling. Pochi giorni fa, intervenendo a Chicago, il sindaco ha invitato a visitare Milano, sottolineando che col nuovo collegamento della metropolitana al “city airport”di Linate, Piazza del Duomo si raggiungerà in 14 minuti. Tutto vero e tutto bene, ma questa è una risposta parziale, cosa diciamo ai cittadini dell’hinterland?

Anche alla luce delle recenti vicende Atm (che al di là del merito hanno messo in luce una presenza attiva dell’azionista Comune) occorre una riflessione sulla base di elementi reali. Dal 2007, prima del dehubbing di Alitalia, al 2016  il volume del traffico passeggeri complessivo di SeA è diminuito del 13,8%. L’unica area in crescita vistosa nello stesso arco di tempo (+ 36%) è quella del T2, la pista di Malpensa destinata al low cost, le cui compagnie hanno ormai una dimensione di tutto rispetto. È indubbio che anche Malpensa ha ripreso oggi la coda della ripresa del traffico mondiale, in cui la ripresa è quasi dovunque a due cifre. D’altra parte il fatto che oggi la SeA distribuisca profitti non è una buona ragione per non chiedersi quali siano le criticità future possibili e, soprattutto, a quali condizioni  gli utili potrebbero crescere. Un interrogativo dovuto, sia nel caso che il comune volesse limitarsi a staccare le cedole, sia laddove si decidesse di alienare l’asset.

Si tratta in buona sostanza di recuperare una strategia che, al di là degli interminabili progetti di integrazione con l’aeroporto di Bergamo, identifichi con chiarezza la missione dei due siti. Linate come city airport (come ha affermato Beppe Sala) con destinazione le città europee e quelle italiane, con un volume di traffico annuo che difficilmente potrebbe superare quello attuale, e Malpensa per il lungo raggio con un obiettivo di 30 milioni di viaggiatori. La necessità di rendere Malpensa più profittevole deriva anche dal fatto che gli ammortamenti  peseranno nei prossimi anni sul conto economico Sea per effetto degli ingenti investimenti. Ciò lo può garantire principalmente solo un aumento anche qualitativo del traffico finora ostacolato dalle decisioni unilaterali di Altalia.

Questa è una grande opportunità per il Comune di Milano, che da una parte ridurrebbe i rischi potenziali di contenzioso ma dall’altra otterrebbe risorse importanti da destinare a obiettivi di grande impatto sociale e ambientale. Che questo significhi finanziare la riapertura dei Navigli o il risanamento delle case popolari o delle periferie è una scelta politica che appartiene al comune. Per queste ragioni è necessario che Beppe Sala batta un colpo come azionista e affronti senza indugio una materia che non dovrebbe avere difficoltà a padroneggiare per la sua esperienza professionale e che avrebbe ricadute importanti ben al di là dei confini metropolitani.

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