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Silvio Berlusconi, Augusto Minzolini e le quinte colonne del grillismo

Silvio Berlusconi

Il Corriere della Sera ha appena attribuito in prima pagina queste parole a Silvio Berlusconi: “Già solo una sentenza a mio favore della Corte di Giustizia europea mi farebbe recuperare cinque punti percentuali. Il resto ce lo metterei io”.

Quasi a rafforzare il concetto, e a spiegarne il contesto, il maggiore giornale italiano ha pubblicato accanto una vignetta, al solito, imperdibile di Giannelli. In cui al Berlusconi con i capelli è affiancato un altro, davanti alla Corte europea, travestito da Augusto Minzolini, appena sottratto dall’assemblea di Palazzo Madama ad una  legge del 2012 applicata invece all’ex presidente del Consiglio, e contro la quale pende il  suo ricorso  a Strasburgo.

Ad aggravare la disparità di trattamento riservato non da un altro, ma dallo stesso Senato tre anni fa a Berlusconi e ora al suo amico Minzolini, Minzo per noi colleghi giornalisti che lo conosciamo e lo frequentiamo da una vita, c’è il tempo trascorso fra la condanna definitiva dei due e il pronunciamento dell’assemblea di Palazzo Madama.

Nel 2013, quando Berlusconi fu fatto decadere dal Senato con una votazione a scrutinio curiosamente palese, erano trascorsi meno di tre mesi dalla sua condanna definitiva per frode fiscale, comminatagli dalla Cassazione in sessione feriale -da ferie, estive- per evitare che scattasse la prescrizione.

  Con Minzolini i mesi trascorsi fra la condanna per peculato alla Rai e il voto, questa volta, liberatorio del Senato sono trascorsi -tenetevi forte- 17 mesi: non i tre di Berlusconi, e neppure i sette da me indicati qualche giorno fa, e dei quali mi scuso con i lettori confessando di essermi fidato, una volta tanto, di una informazione presa leggendo rapidamente quella mattina il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio. Mi sembrava, in verità, più lontana la condanna del mio amico Minzo, ma di fronte alla dimestichezza, chiamiamola così, di quel giornale con la cronaca, i retroscena, gli scoop e quant’altro dei tribunali, mi ero fidato. Malissimo.

Far passare 17 mesi, dal novembre 2015 a marzo 2017, per chiudere al Senato, tra giunta e aula, la pratica del “pregiudicato”, come Travaglio chiama Minzo, casellario giudiziario alla mano, significa già di suo qualcosa, anzi parecchio. Se poi aggiungiamo il fatto che la giunta si era pronunciata contro Minzolini con il voto determinante del presidente, convinto ora -come ha appena dichiarato- che la legge così malamente applicata vada modificata, la situazione mi sembra abbastanza chiara per liquidarla come un dannato pasticcio, frutto del giustizialismo che intossica da almeno 25 anni, in realtà molti di più, la politica italiana.

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Convinto, in verità, già qualche giorno prima della piacevole sorpresa Minzolini, della possibilità di giocarsi bene la prossima partita elettorale, specie ora che si è allontanato il pericolo di uno scioglimento anticipato delle Camere, salvo ripensamenti di Matteo Renzi una volta tornato alla segreteria del Pd, Berlusconi si è offerto all’opinione pubblica che si è ancora abituati a definire “moderata” come campione di lotta al grillismo. Che ha preso il posto nella sua testa, e forse non a torto, del comunismo.

E’ sicuramente lodevole il proposito di Berlusconi, pur al netto dei problemi che gli procura quotidianamente Matteo Salvini nell’area che fu di centrodestra. E che non so francamente se si possa davvero ricomporre.

Fra Salvini e Beppe Grillo spesso non si sa chi scegliere se fosse possibile sbarazzarsi politicamente di uno solo dei due. Non a caso, del resto, ognitanto si pensa alla possibilità che l’uno e l’altro, avendo comuni nemici e comuni idiosincrasie, si alleino anche in sede nazionale, magari all’indomani delle elezioni, come hanno già fatto d’istinto prima delle elezioni in sede locale. Virginia Raggi divenne sindaca di Roma l’anno scorso grazie anche ai voti, per quanto pochi, dei leghisti incitati da Salvini contro il concorrente renziano Roberto Giachetti. Lo stesso fece la Giorgia Meloni con i suoi fratelli d’Italia.

Grillo ne ha appena fatta un’altra delle sue per essere giudicato come merita. Alla faccia dell’”uno vale uno” e di tutta la democrazia elettronica con la quale vorrebbe sostituire quella delle elezioni cui siamo abituati da una vita, col certificato, il documento d’identità, il seggio, la matita, la scheda e l’urna, il comico prestato alla politica ha azzerato in un attimo la candidatura della pentastellata Marika Cassimatis a sindaca di Genova per sostituirla in un improvvisato nuovo turno elettronico con chi aveva perduto .

 “Fidatevi di me”, ha detto il capo, garante e non so cos’altro del movimento 5 stelle. E come no? Basta vedere quello che è riuscito a combinare proprio lui a Roma con la sua Virginia: sua, intesa politicamente.

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Ma prima di proporsi come bandiera dell’antigrillismo, con migliore fortuna dell’anticomunismo, visto che per rottamare a sinistra uno come Massimo D’Alema, per non parlare del seguito secessionista del Pd, abbiamo dovuto aspettare Matteo Renzi, penso che Berlusconi debba guardarsi bene intorno e difendersi, prima ancora che da Grillo, dalle quinte colonne del grillismo in casa sua. E ciò non foss’altro per non ripetere, come dirò, gli errori commessi prima  di entrare in politica.

Il caso vuole che si chiami proprio Quinta Colonna una trasmissione televisiva di Mediaset il cui conduttore, Paolo Del Debbio, coltiva così imprudentemente la piazza leghista che di recente un suo ospite di studio, il deputato forzista Gianfranco Rotondi, insultato a distanza dagli amici di Luigi Di Maio collegati dalla Campania, ha dovuto andar via protestando. Come capitò a me, allora direttore del Giorno, 25 anni fa, in una trasmissione del Biscione condotta dalla buonanima di Gianfranco Funari, che divideva le sue simpatie politiche fra Umberto Bossi e D’Alema.

Qualche giorno fa il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri si è lasciato andare con gli amici del Foglio a qualche osservazione autocritica, alludendo proprio alla  quinta colonna grillina in casa e facendo contento Giuliano Ferrara, che se n’è appena compiaciuto nel contesto di una divertente e lunga “dichiarazione d’amore” alla collega ferocemente e sanamente antigrillina Laura Cesaretti. Per la quale egli ha proposto all’amico Fedele una trasmissione al posto di quelle da autorete da cui è costretto di tanto in tanto a prendere le pur cautissime distanze.

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