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Londra, tutto quello che non si vuole vedere dell’islamismo radicale Isis

Stefano Cingolani dell'Irpef

L’attentato a Westminster ha suscitato una pioggia di analisi e commenti sulla minaccia del terrorismo islamico (oggi egemonizzato dall’Isis, ieri da Al Qaeda domani da chissà quale altro gruppo), sulla necessità di tenere i nervi saldi e la barra dritta, sulla esigenza impellente di collaborare di più. Non c’è francamente molto da aggiungere, si tratta di passare dalle parole ai fatti. Soprattutto in campo di azione comune. In genere la si intende come un migliore scambio di informazioni tra i sevizi segreti e le forze di polizia, condizione necessaria, anzi indispensabile, ma che non è sufficiente. Perché per collaborare davvero occorrono alcune condizioni che oggi non esistono.

Non esiste, a monte di tutto, una analisi e una convinzione comune sul terrorismo islamico (aggettivo non utilizzato dalle autorità londinesi). Quindi non esiste la possibilità di scegliere obiettivi condivisi e mezzi per raggiungerli insieme. E’ un limite culturale e politico. Culturale perché un po’ ovunque si è rinunciato a fissare i confini per la convivenza pacifica e l’integrazione. Questi confini debbono essere basati sui principi del pluralismo e della liberal-democrazia (due categorie che marciano insieme, naturalmente). Ma la condivisione dei valori porta con sé una revisione (non limitazione) del concetto di sovranità. E qui entra in campo la politica.

Si è diffusa l’idea che sovranità significa chiudersi nei propri confini, mettersi in trincea gli unici contro gli altri e cercare di fregare il proprio vicino. E’ un atteggiamento contrario all’idea liberal-democratica di nazione e di cittadinanza, è la deriva verso un nazionalismo autocratico se non totalitario.

Ciò vale anche per gli inglesi duramente e drammaticamente colpiti dal terrorismo islamico (l’aggettivo è d’obbligo) più di altri e più di noi italiani. La solidarietà nei loro confronti, il rispetto, la riconoscenza, la simpatia, tutto quello che ci lega da alcuni secoli agli inglesi che consentirono l’unità d’Italia e poi la liberarono dal fascismo, ci consente di non tacere sui loro errori. L’ultimo e tra i più gravi è la Brexit.

Le pulsioni e i sentimenti che hanno fatto votare gli inglesi (non gli scozzesi e gli irlandesi) sono profondamente sbagliati e certo non aiutano a rinsaldare il fronte contro le minacce comuni. Si è votata la Brexit per rifiutare le follie burocratiche di Bruxelles, certo, ma soprattutto per bloccare la supposta invasione degli altri europei. Gli inglesi accettano la presenza di cittadini che provengono dalle ex colonie, non accettano i polacchi, i portoghesi o gli italiani. Chi ha votato per la Brexit lo ha detto chiaramente.

Ciò non solo non consente di capire che cosa oggi mette in pericolo la convivenza civile e lo stesso benessere, ma impedisce di vedere che l’islamismo radicale e terrorista s’annida proprio tra gente che proviene dall’ex Commonwealth: dal Pakistan, dall’Afghanistan, dal Medio Oriente dell’ex protettorato britannico, dal Sudan o dal Kenya oggi sempre più nella morsa islamista. C’è perfino un imam nato in Giamaica convertitosi all’Islam e noto per le sue incitazioni alla violenza (in un primo tempo si pensava che fosse lui l’attentatore).

Questa incredibile e colossale deformazione della realtà, spinge gli inglesi a pensare di potersi difendere da soli, a esaltare una idea isolazionista di sovranità e di nazione, a rifiutare il principio stesso di sicurezza comune. Eppure, esiste un esempio positivo di unità nella diversità, di integrazione senza assimilazione, ed è la Nato che gli inglesi insieme agli americani vollero fortemente come argine come l’Unione sovietica e che, dopo la caduta del muro di Berlino, è stata rilanciata nei suoi ideali e nei suoi obiettivi come comunità di difesa attiva contro le nuove minacce (ricordiamo il ricorso all’articolo 5 dopo l’attacco agli Stati Uniti l’11 settembre 2001).

Tutto ciò non basterà certo a far cambiare idea a Nigel Farage, ma chissà che Theresa May, sbolliti i neofiti furori, non torni a un atteggiamento pragmatico dettato dalla terribile realtà nella quale siamo immersi. La Brexit non sarà rigettata certo per l’attentato di Londra (nemmeno se fosse caduto il Big Ben come le Twin Towers di Manhattan). Ma la premier britannica dovrebbe dare ascolto a chi la invita a non tirare troppo la corda e a far prevalere uno spirito di leale collaborazione rispetto a una irrazionale quanto irrealistica rivincita isolana.

(I VIDEO POST ATTENTATO JIHADISTA A LONDRA)

(LE FOTO DOPO L’ATTACCO TERRORISTICO A LONDRA)

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