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La scelta del perdono secondo Agnese Moro

Di Riccardo Annibali
agnese moro

Il perdono è una decisione. È così che Agnese Moro ha concluso ieri l’intervento in aula M dell’Università Lumsa in Roma. La sua testimonianza è stata rivolta agli studenti di “Teorie e tecniche del giornalismo e uffici stampa”, un insegnamento del Dipartimento di Scienze umane dell’ateneo romano, ubicato in via Traspontina, nei pressi della Basilica di San Pietro.

Le strade che conducono in Vaticano sono state presidiate per l’intero giorno, dato che nel pomeriggio Papa Francesco ha ricevuto nella Sala Regia del Palazzo Apostolico i 27 leader europei presenti nella Capitale che oggi celebreranno in Campidoglio il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. La stessa lezione è stata interrotta a causa di una valigia lasciata sul marciapiede di Borgo Sant’angelo, proprio di fronte al portone del palazzo universitario. Gli artificieri, subito intervenuti, l’hanno fatta brillare constatando che conteneva indumenti.

La lezione è quindi ripresa con Antonello di Mario, il docente che ha invitato la terzogenita di Aldo Moro a descrivere il lavoro giornalistico da lei dedicato alla redazione di “Costruire cose buone”, la rubrica che dal 2011, ogni domenica viene pubblicato dal quotidiano “La Stampa”. Ed il racconto è poi caduto sul valore della memoria, necessaria alla ricerca della verità, anche in ambito giornalistico. E la memoria nel racconto di Agnese Moro ha riguardato soprattutto il rapporto con suo padre, interrotto quando lei aveva venticinque anni: le parole spezzate, i pensieri che sono rimasti a metà e quell’impossibilità per almeno dieci anni di rileggere anche una sola frase frase paterna, perché “lui rimane in ciò che ha scritto” e proprio questa verità le faceva ancora troppo male.

Poi l’incontro, cui si è arrivati gradualmente, tra lei, e quelli che le avevano fatto tanto male privandola del padre e delle persone che lo proteggevano. Anzi, qualcosa di più: più vittime e più responsabili della lotta armata a confronto, grazie all’opera mediatrice, tra gli altri, di un gesuita, padre Guido Bertagna. Da questa esperienza ne è derivato anche “Il libro dell’incontro”, edito da “il Saggiatore” in cui emerge il principio che “solo cercando insieme la giustizia, la si può almeno un poco avvicinare”.

Da qui è iniziata la strada verso un perdono laico, distante dalla retorica diffusa dell’assoluzione dell’anima: “Una cosciente presa di posizione – ha sottolineato Agnese Moro – una decisione che si può prendere in pieno raziocinio solo dopo aver realmente sofferto, dopo aver capito che aver vissuto senza perdono ha lasciato dei segni evidenti anche nelle persone che ci stanno intorno, quelle che amiamo di più”. E anche quei ricordi che stringono il cuore, quando si ritorna in un luogo, si avverte un odore, si rivede un viso, fanno meno paura. La memoria, insomma, è ritrovare momenti di vita di chi non c’è più. Se ciò accade, significa che il perdono ha spezzato le catene di un odio perdurante. Una scelta di libertà, un altro valore caro ad Agnese Moro di cui si potrà leggere domani nella sua rubrica nelle pagine interne de “La Stampa”.

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