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Il mercenario, il (secondo) mestiere più antico del mondo

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Sono attive in Siria e nei principali teatri di guerra del globo. Basta digitare su Google due parole chiave, recruitment contractors, per scorrere un lungo elenco di private security companies americane e inglesi. Sono Inghilterra e Stati Uniti, infatti, dove la professione del “soldato privato” è legale, a detenere il suo monopolio attraverso accordi stipulati direttamente con i governi locali dei Paesi dove i contractors sono inviati (ma anche la Russia di Putin ha fornito al regime di Assad contingenti “privati” di ex veterani, provenienti dai corpi d’élite dell’esercito e della marina). Nessuna sorpresa. Infatti, se il primo non sembra opinabile, il secondo mestiere più antico del mondo è proprio quello del mercenario. Per Anthony Mockler, suo autorevole studioso, è più di un’ipotesi (Storia dei mercenari, Odoya).

Già nel secondo millennio avanti Cristo, mercenari erano i shardana, predoni sardi al servizio del faraone Ramses II. Gli Hittiti arruolavano i pirati lici e gli Assiri i montanari dello Zagros mesopotamico. Di mercenari si servivano il tiranno ateniese Pisistrato e il tiranno di Samo Policrate. Mercenari erano i diecimila greci al soldo del satrapo persiano Ciro il Giovane, le cui gesta sono narrate da Senofonte nella Anabasi. Mercenari erano anche i celti, i numidi e gli iberici impiegati da Cartagine nelle tre guerre puniche contro Roma. Le stesse legioni romane erano affiancate da frombolieri delle Baleari e da arcieri cretesi. Prima dell’anno Mille, gli imperatori bizantini utilizzavano guerrieri longobardi e dalmati, alamanni germanici e variaghi scandinavi, come guardia personale o per scortare i catafratti, cavalieri muniti di pesanti corazze.

Soldat qui sert à prix d’argent un gouvernement étranger: è la definizione di mercenario che si trova nel dizionario Larousse. È appropriata per i condottieri medievali, i lanzichenecchi e le “Lance” svizzere, i legionari francesi e i gurkha indiani, gli ufficiali britannici della Legione araba in Giodania o per le bande degli Affreux (Atroci) nell’Africa nera. Ma non si non si addice ai sikh o ai rajput della dominazione inglese in India, perché – diversamente dai gurkha – erano sudditi di Sua Maestà. In altri termini, se un mercenario è sempre un soldato professionista, un soldato professionista non è necessariamente un mercenario. Si tratta di una sfumatura, ma di una sfumatura delicata sul piano etico. La conclusione si impone da sé: è difficile definire con precisione cosa è un mercenario, poiché la sua figura è stata storicamente mutevole.

Nella realtà feudale, il termine mercenario aveva un significato meramente descrittivo: il cavaliere aveva l’obbligo di servire, ma il sovrano non aveva l’obbligo di pagare. Con la formazione degli Stati nazionali, che tenderanno a esaltare le virtù patriottiche, il termine diventa spregiativo. E tuttavia si esporrà ugualmente a qualche confusione semantica, soprattutto quando entreranno in scena gli ideali umanitari e le “guerre giuste”. Seppure con una certa sfrontatezza, i mercenari che combattevano in Katanga negli anni Sessanta del secolo scorso si sentiranno legittimati a chiamare i caschi blu dell’Onu Les super-mercenaires.

Nella Anabasi, Senofonte descrive così Clearco, il capo mercenario dei greci al soldo di Ciro il Giovane: “Avrebbe potuto vivere in pace senza subire alcun biasimo o offesa, ma scelse di fare la guerra. […] Avrebbe potuto avere denaro e sicurezza, ma volle guadagnarne di meno impegnandosi in una guerra. E poi gli piaceva spendere i soldi in guerra come un altro li può spendere in donne o in qualsiasi piacere. Tutto questo mostra quanto fosse devoto alla guerra”. I greci vedevano proprio in questa devozione alla guerra il tratto distintivo e moralmente non riprovevole del mercenario. Si rendevano però anche conto delle sue miserie, e non gli tributavano l’ammirazione che avrebbe ricevuto nell’antica Scandinavia o nel Giappone feudale. Nel Medioevo cristiano, solo Bertrand de Bon, poeta occitano duecentesco amato da Nietzsche e Ezra Pound, ne tesserà un fervido elogio. Ma Dante, pur apprezzando i suoi versi, lo sistemerà all’Inferno tra i seminatori di discordia.

Dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, i Paesi belligeranti erano pieni di soldati disoccupati, di sradicati, di avventurieri. Come sottolinea Marco Guidi nella postfazione al libro di Mockler, presto per loro si spalancherà un intero continente, l’Africa. L’Africa delle lotte per l’indipendenza, delle guerriglie tribali, degli interessi delle grandi compagnie minerarie, dello scontro tra Usa e Urss. In questo contesto, il Congo ex belga – con le sue immense ricchezze – diventa il teatro principale delle imprese mercenarie di Jean Schramme, Bob Denard, Mike Hoare, Siegfred Müller (che aveva combattuto con Hitler). Poi verrà il tempo degli “aiuti fraterni” dei paesi comunisti, Cuba in prima fila.

Le ultime guerre che vedono in azione gruppi mercenari saranno quelle dei Balcani. Spariscono i mercenari e appaiono i contractor, frutto del crollo del potere bianco in Rhodesia e in Sud Africa. Migliaia di appartenenti alle forze armate e ai corpi speciali di polizia si ritrovano senza lavoro e cominciano a infoltire i ranghi delle compagnie militari private. Negli anni Novanta queste compagnie nasceranno come funghi. I servizi resi al Pentagono dalla più nota, la Blackwater, ha rappresentato una delle voci più cospicue nel bilancio della Difesa statunitense, oltre ad essere stata negli anni passati al centro di numerosi scandali per il suo lucroso connubio con la Cia e per i suoi metodi spicci in Iraq e in Afghanistan). I moderni contractors, tuttavia, vedono raramente un campo di battaglia. Sono soprattutto addestratori, piloti, esperti di tecnologie belliche, e sono richiestissimi in tutte le aree più a rischio del pianeta. È un mestiere che tira, insomma. Per convincersene, basta sfogliare ogni tanto il mensile Soldier of Fortune.

 

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