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Tutte le illusioni ottiche nel Def su debito, Pil e avanzo primario

Pier Carlo Padoan, def

Tra i punti più interessanti del Documento di economia e finanza, Def,  appena aggiornato dal governo c’è la previsione dell’andamento del rapporto debito-Pil. Che, come noto a (quasi) tutti, rappresenta l’indicatore ultimo e definitivo per comprendere come e dove sta andando un paese. Nel caso italiano, da alcuni anni leggiamo di previsioni che, dal successivo, vedono l’inizio di un vero e proprio crollo di questa fondamentale metrica, ed ogni volta restiamo delusi. Proviamo a capire perché neppure questa volta sarà diverso, e perché i nostri eroi riescono a vendersi quello che non ha alcuna possibilità di avverarsi.

Determinanti-delta-indebitamento

Nel 2016 il debito-Pil, al lordo dei “sostegni”, cioè dei contributi italiani al primo programma di salvataggio della Grecia ed ai fondi EFSF e ESM, era al 132,6%. Nel 2017 è previsto pressoché stabile e dal 2018 piega -finalmente- al ribasso. Questo schema previsivo si ripete, tetragono, da parecchi anni. Ci sono tre componenti principali, per analizzare la variazione del rapporto debito-Pil: di massimo rilievo sono l’avanzo primario (l’eccedenza delle entrate sulle spese, escluse quella per interessi), e l’effetto snowball. Che è ‘sta cosa? Si tratta del contributo al rapporto d’indebitamento che deriva dal confronto tra crescita del Pil nominale e costo del debito pubblico. Del terzo elemento, l’aggiustamento stock-flussi, parleremo tra poco.

Ricordate la regoletta aurea? Se la crescita del Pil nominale eccede il costo medio del debito pubblico, lo stock di quest’ultimo si riduce, cioè l’effetto snowball è favorevole. Per contro, se la crescita del Pil nominale è inferiore al costo medio del debito pubblico, l’effetto snowball spiega il proprio curioso nome: è una palla di neve che rischia di diventare valanga. Questo è esattamente quanto accaduto negli anni più acuti della crisi, costringendo l’Italia ad inseguire avanzi primari da soffocamento dell’economia.

Osservate in tabella che, nel 2018, il rapporto debito-Pil cala di 1,5 punti percentuali. Non male, no? Questo calo deriva per oltre la metà, lo 0,8%, da aumento dell’avanzo primario. Ma sapete perché? Perché le previsioni dell’avanzo primario, a legislazione vigente, incorporano l’attivazione delle clausole di salvaguardia, cioè il maxi aumento Iva, che abbatterebbe il deficit-Pil fino all’1,2%, dal 2,1% del 2017. Però noi sappiamo che il governo italiano è già pronto a buttarsi a terra in preda a crisi convulsive (i.e. a “fare il pazzo”) pur di impressionare la Commissione Ue ed ottenere ancora un po’ della magica “flessibilità” (cioè deficit) senza la quale i nostri tossici non riescono a restare in piedi.

E quindi? Quindi, scordatevi che il nostro avanzo primario aumenti il prossimo anno di quasi un punto percentuale. Di conseguenza, anche la componente di calo del debito-Pil imputabile ad esso è una chimera. Veniamo ora all’effetto snowball, iniziando ad analizzarlo dal consuntivo del 2016. Lo scorso anno, questa malefica palla di neve ha fatto aumentare il debito-Pil di 1,8%. Sapete perché? Perché la crescita del Pil nominale è stata ben inferiore al costo medio del debito pubblico. La prima è stata di 1,6%, la spesa per interessi è stata il 4% del Pil, al costo medio di 3,1%. Ripetiamo: sin quando la crescita del Pil nominale non supererà quella della spesa per interessi rispetto al Pil medesimo, la strada resterà in salita. Claro?

Nella previsione Def, l’onere dell’effetto snowball frena alla grande, da 1,8% del 2016 a 0,9% quest’anno, a solo 0,2% nel 2018. Ma ciò poggia su due assunzioni: che il Pil nominale s’impenni, crescendo del 3% nel 2019, ad esempio; che il costo medio del debito freni. Siamo sicuri? Come che sia, speriamo che il concetto vi sia chiaro: da alcuni anni i Def prevedono una progressiva accelerazione nella flessione del rapporto debito-Pil. Ma questo è dovuto in misura preponderante a qualcosa che non si realizza: cioè al raggiungimento dell’obiettivo programmatico di rapporto deficit-Pil. Non solo: l’aumento del Pil nominale regolarmente previsto ed altrettanto regolarmente disatteso è a sua volta imparentato con l’aumento Iva previsto in caso di attivazione della salvaguardia. E si torna al via. Ci sarebbe infine da parlare dell’aggiustamento stock-flussi ma sarebbe troppa carne al fuoco e la vostra pazienza si esaurirebbe. Vi basti però sapere che tale aggiustamento aggiunge al debito-Pil, per i prossimi tre anni.

Per avere l’immagine plastica di questo ottimismo compulsivo del governo italiano osservate la tabella qui sotto, che mette a confronto le previsioni pluriennali del Programma di stabilità 2016 con quello 2017. Osservate la traiettoria del debito-Pil: lo scorso anno si prevedeva che nel 2019 sarebbe stato del 123,8%; quest’anno lo vediamo al 128,2%. Una lieve discrepanza, non trovate? Prendete il Pil: lo scorso anno vedevamo del tutto fattibile una crescita a velocità di crociera di 1,5%; quest’anno siamo scesi all’1%.

Scostamenti-Programma-Stabilita

Ogni anno proiettiamo nel futuro un’illusione ottica, in pratica. E poi ci diamo pacche sulle spalle per il meraviglioso futuro che ci attende. Se potessimo monetizzare l’autoinganno, saremmo ricchi sfondati.

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