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Tutti gli affari di Emmanuel Macron

Di Giuseppe Corsentino
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“Notre projet, pendre le banquier”, impicchiamo il banchiere! Così gridava un gruppo di giovinastri, diciamo pure di delinquenti, durante la manifestazione organizzata lunedì 8 maggio, il giorno dopo le presidenziali, in place de la Bastille (sempre lì!) da un’avventata (politicamente parlando) Cgt, la Cgil francese, desiderosa di mostrare i muscoli al neopresidente Emmanuel Macron che ha promesso di applicare la nuova legge sul lavoro, la Loi El Khomri (dal nome della ministra socialista Myriam El Khomri che ora sembra dissociarsene), a colpi di “ordonnances”, a colpi di decreti-legge. E quale insulto più efficace, per galvanizzare le estreme (a sinistra come a destra), di “banquier”, banchiere, uomo della grande finanza internazionale che qui in Francia, per lunga tradizione (a sinistra come a destra) è “honnie”, odiata, disprezzata, maledetta.

Per la verità Macron non è il primo presidente arrivato all’Eliseo via Rothschild, la banca d’affari dove il giovane di Amiens ha lavorato per quattro anni, dal 2008 al 2012. Prima di lui, negli uffici di rue de Messine, nel borghesissimo 8° arrondissement, sede della banca, aveva lavorato anche George Pompidou, ma erano altri tempi e la finanza non era quel mostro che sarebbe diventata, nell’immaginario mondiale, dopo la stagione dei subprime e il crack di Lehman Brothers.

In ogni caso, come si era capito dalle fake news fatte circolare da alcuni siti dell’estrema destra (legati ad ambienti russi) e da quella maliziosissima domanda rivolta da Marine Le Pen al candidato di En Marche! durante il durissimo faccia-a-faccia televisivo (“Non vorrei, monsieur Macron, che nei prossimi giorni venisse fuori la notizia di un suo conto segreto alle Bahamas”), è a questo ancora misterioso quadriennio della carriera di Macron che ora tutti i media, compreso l’autorevole e compassato Le Monde che pure gli ha fatto un pesantissimo endorsement in funzione anti-frontista, stanno rivolgendo l’attenzione (con relativi approfondimenti redazionali).

E così si apprende che il 29enne Macron, dopo aver ben lavorato come segretario della Commissione Attali (voluta dal neo presidente Nicolas Sarkozy che, come tutti i neofiti, si era messo in mente di riformare dalle fondamenta la République con il contributo dei migliori cervelli disponibili su piazza) e dopo aver rifiutato un posto nel gabinetto della ministra Christine Lagarde (oggi al Fmi), viene chiamato da Banca Rothschild su segnalazione di Serge Weinberg, ex amministratore delegato del gruppo Kering (François-Henri Pinault, alta moda), membro della Commissione e amico personale sia di Attali sia François Henrot, gerente della banca d’affari.

L’incontro, il colloquio d’assunzione, dura due ore. Henrot, dichiara oggi, di essere stato letteralmente affascinato (charmé) dal giovanotto che non gli aveva, però, nascosto di nutrire già delle ambizioni politiche. Quanto al fascino macroniano, c’è, però, un’altra testimonianza, riferita da Le Monde: le parole di un cliente storico di Banca Rothschild, insomma un miliardario francese, che, con la garanzia dell’anonimato – ça va sans dire – racconta che “Macron, quando incontra un potente, ha sempre l’aria di essere estremamente interessato alle parole dell’interlocutore. A me ha dato sempre l’impressione di essere un flatteur”. Flatteur, che in francese vuol dire adulatore. Del resto, nelle grandi aziende si fa carriera (anche) così.

Il giovanotto, di cui oggi anche il nostro Mario Monti, all’epoca membro della stessa commissione Attali, tesse le lodi (“Dimostrava un grande intuito politico”, racconta, proprio quello che è mancato completamente al professore bocconiano, oggi senatore a vita); il giovanotto, dicevamo, si mette al lavoro e, siccome è anche fortunato, secondo l’aurea regola napoleonica, mette a segno alcuni deal, alcune operazioni importanti, come la vendita di Cofadis, una finanziaria specializzata in credito al consumo sull’orlo del fallimento, al Credit Mutuel. Ma, soprattutto, come la vendita della divisione latte e alimenti per l’infanzia della Pfizer alla svizzera Nestlé (in lizza con la francese Danone).

Ed è proprio su quest’ultima operazione che si concentrano la curiosità dei blogger e l’attenzione dei media, perché è da qui che sarebbe partita la provvista milionaria verso un misterioso conto alle Bahamas, inesistente. È invece concretissima la relazione tra il giovane ex segretario della Commissione Attali e un suo membro austriaco che altri non è che il presidente della Nestlé, Peter Brabeck, il quale non è un cliente di Rothschild ma fa presto a diventarlo e a vincere la partita Pfizer con la Danone.

Tutto merito di Macron, nuovo “Mozart della finanza” come lo definisce con una certa ironia Le Monde? Proprio dal quotidiano della gauche, diretto da Jerôme Fenoglio, lontane origini italiane, arriva un’altra indiscrezione. Macron, all’epoca della crisi del giornale, fu incaricato di assistere (à titre gracieux, cioè gratis, per simpatia politica) la cooperativa dei giornalisti chiamati a scegliere tra un’offerta del gruppo spagnolo Prisa (editore di El Pais) e la cordata francese Bnp (Bergè-Niel-Pigasse), alla fine vincente.

“Ho avuto l’impressione”, racconta un giornalista, “che Macron facesse il doppio gioco con noi della cooperativa dei redattori. Una sera l’ho incontrato per caso sull’ascensore del palazzo dove abitava Alain Minc (intellettuale, amicissimo all’epoca di Carlo De Benedetti, ndr), presidente del consiglio di sorveglianza del giornale che sarebbe dovuto restare neutrale e invece parteggiava per gli spagnoli. Non ci aveva mai detto nulla di questo contatto e di questi incontri”.

Anche Mathieu Pigasse, il banchiere di Banca Lazard, è convinto che Macron facesse il doppio gioco. Ma forse è così che si fanno gli affari. In ogni caso, oggi, tutti, proprio tutti quelli che contano a Le Monde, Minc, Pigasse, Bergé, Niel sono macroniani. Perché così va il mondo.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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