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Ecco cosa divide davvero Matteo Salvini e Roberto Maroni

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Probabilmente ha ragione Roberto Maroni il quale si dice sicuro che Umberto Bossi non abbandonerà mai la sua creatura: la Lega Nord, da lui fondata. “Per me e Bossi politica e Lega sono state sempre la stessa cosa”, ricorda il governatore lombardo, che con “l’Umberto” ai tempi del Carroccio degli esordi andava di notte ad attaccar manifesti sui cavalcavia. Scende in campo anche Silvio Berlusconi a difesa di “Umberto”: “Non credo che se ne andrà, è un uomo eroico”.

E del resto è difficile pensare a un Senatùr che se ne va nel movimento nordista dell’imprenditore milanese Roberto Bernardelli – ipotesi da Bossi stesso evocata -, l’acceso indipendentista coinvolto nella vicenda giudiziaria del tanko che avrebbe voluto portare, secondo le accuse, a piazza S. Marco. Chi conosce un po’ Bossi sa che per oltre vent’anni ha retto la Lega sul filo di uno spericolato schema di lotta e di governo. Uno schema che applica ancora oggi, che non è più il padre-padrone del Carroccio, e una sera, come è accaduto l’11 maggio, è ospite a Roma del “Premio Guido Carli” (qui tutte le foto), omaggiato da Gianni Letta davanti a tutto il parterre con un cordiale: “Buonasera Umberto” e il giorno dopo minaccia di andarsene con l’uomo del “tanko”.

Ma Bossi è un maestro nell’alzare la posta al tavolo di gioco politico. Spiegò una volta alla sottoscritta a margine di un’intervista per Panorama: “Io in realtà chiedevo la secessione per ottenere la devoluzione”. E anche ora che ha minacciato di andarsene con l’uomo del “tanko”, ora che ad essere confermato alla guida della sua Lega, plebiscitato da oltre l’82 per cento dei consensi alle primarie, è Matteo Salvini, Bossi, seppur indebolito sul piano politico (è circolata anche la voce che potrebbe anche non esser più candidato alle politiche), sembra piuttosto mandare un segnale di pericolo al Carroccio e cioè che se si abbandona la missione con la quale nacque la Lega, ovvero, come ha ricordato lo sfidante di Salvini, l’assessore lombardo all’agricoltura, Gianni Fava, quella di “fare il sindacato del Nord”, il rischio è che le spinte secessioniste, quelle vere, possono andare avanti incontrollate. Anche gli avversari alla Lega di Bossi e Maroni riconobbero infatti di aver fatto da argine proprio a impennate come quella del “tanko”, che non furono esattamente solo folclore. Ma più che i “tanko”, il rischio vero, come diceva a Formiche.net un sostenitore di Fava poco prima delle primarie, è che stavolta, “a furia di intestardirsi sulla conquista di voti dal Sud che non arriveranno mai, ci perdiamo quelli del Nord, la nostra roccaforte, finendo in bocca ai Cinque Stelle…”. Evidente che il progetto, sonoramente bocciato però alle primarie leghiste, di tornare alla Lega delle origini non porta alla secessione ma al vecchio schema dell’alleanza con Silvio Berlusconi.

Ora però è un fatto che Salvini ha stravinto, seppur con una base elettorale del 57 per cento degli iscritti, e soprattutto che il rincoronato segretario federale ha usato parole e toni anche con lo stesso Maroni, il potente governatore lombardo, che sarebbero stati finora inimmaginabili. Soprattutto se si pensa che fu proprio “Bobo” a investire Salvini come successore al congresso di Assago dove finì l’éra del Senatur e Maroni diventò segretario federale. Maroni, di cui Fava, descritto erroneamente come un bossiano doc, è da sempre un fedelissimo, prudente e realista come è sempre stato ha subito riconosciuto che Salvini è “il segretario di tutta la Lega”, cosa affermata anche dallo sconfitto assessore regionale all’Agricoltura. Che ha mancato l’obiettivo di raggiungere almeno il 20 per cento. Ma Salvini, forte del suo plebiscito, ha ricambiato a caldo suonando la carica prima contro Bossi (“Nessuno lo tiene al guinzaglio”, anche se ieri sera è parso ammorbidire i toni: “Niente scissione”) e poi anche contro lo stesso “Bobo” avvertendolo: “Sono io che deciderò chi sarà il candidato leghista in Lombardia”.

Si sa che Maroni punta a un secondo mandato al Pirellone e per quello è decisiva l’alleanza con Forza Italia che il governatore ha difeso in un’intervista suonata contro Salvini a Il Corriere della Sera dove ha ammonito: “La fase lepenista è finita” e ha ricordato l’importanza del rapporto con gli azzurri. Mentre Salvini ha controreplicato: “Mai più col cappello in mano a Arcore”. I numeri ora però sono tutti dalla parte del segretario leghista. Con il progetto di una Lega sovranista nazionale. Che evidentemente si vuol tenere le mani libere rispetto al vecchio schema dell’alleanza di centrodestra con Berlusconi. Mani libere, se alla fine si andrà a votare con un proporzionale di fatto e cioè solo con un ritocco della legge elettorale disegnata dalla Corte costituzionale, anche per un’alleanza con i Cinque Stelle, seppur questa ipotesi è stata sempre smentita dallo stesso Salvini?

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