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Perché Erdogan non può gioire dopo gli incontri con Putin e Trump

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Il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, aveva annunciato il suo primo viaggio all’estero come Capo di Stato dai super poteri in pompa magna. Ma se in Turchia è ormai il padrone assoluto del Paese, fuori dai confini nazionali non sembra essere cambiato molto. L’unica novità sostanziale è che il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non ha fatto nemmeno il minimo cenno a quello che sta avvenendo nel Paese.

Per il resto, sia lui sia il capo del Cremlino, Vladimir Putin, hanno fatto capire che, nonostante la stabilizzazione del potere politico, le regole di ingaggio non cambiano. La Turchia è destinata a giocare in seconda linea a ad attenersi alle decisioni ora di Washington, ora di Mosca.

Che le premesse non fossero le migliori, in realtà, Erdogan lo sapeva dall’inizio, anche se nel Paese questa missione verrà comunque celebrata come un successo. Il leader turco aveva dato anche un grande significato simbolico al suo viaggio. Prima a Pechino, dove ha incontrato sia il leader cinese XI sia il presidente russo Vladimir Putin, poi a Washington dal nuovo inquilino della Casa Bianca.

Un messaggio chiaro sia per l’Europa, “tagliata fuori” dal super capo di Stato e dal suo programma politico futuro, sia per tutto il Medioriente, a cui Erdogan voleva mostrare, o almeno gli sarebbe piaciuto, quanto la Turchia fosse ormai accreditata come interlocutore dei grandi player mondiali, sia a livello politico, sia a livello economico.

Invece, di fondo, tutto si è risolto con una foto di gruppo a Pechino e una pacca sulla spalla a Washington. Putin ha fatto nuovamente capire a Erdogan che il suo vero ruolo è quello della sponda, insufficiente a imporre le sue condizioni. Trump gli ha detto chiaro a tondo che gli Stati Uniti continueranno a sostenere militarmente i curdi siriani dello Ypg. Dell’estradizione di Fethullah Gulen, ex alleato di Erdogan e ora la causa di tutti i mali del Paese, non se ne parla nemmeno.

L’unica cosa che è rimasta al presidente, a parte la pacca sulla spalla e l’assicurazione che nel suo Paese può fare quello che vuole, è stato l’invito a investire in Turchia, che torna a essere un alleato, passato da “fedele” a “utile” nell’ottica della Casa Bianca. Per il resto, come sempre, Erdogan se la canta e se la suona da solo.

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