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Tutte le idiozie sentite su Isis dopo la strage a Manchester

malgieri, francia, marine le pen

Non se ne può più, dopo ogni strage islamista, sentir ripetere la stucchevole litania che è diventata un banale mantra: dobbiamo continuare a vivere come sempre, non dobbiamo modificare le nostre abitudini, ci dobbiamo comportare difendendo i nostri costumi senza lasciarci condizionare dal nemico diffuso ed imprendibile. A quale vetta di ovvietà attingono queste inconsistenti proposizioni fideistiche sulla capacità dei comuni cittadini di far finta che la “normalità” jihadista debba inevitabilmente far parte del paesaggio europeo, come ogni altro fenomeno innocente ed incruento.

Alla carneficina di Manchester ha fatto da contrappunto sui giornali di mezza Europa, ed in particolare su quelli italiani, un grottesco appello a proseguire come sempre nella vita di tutti i giorni per non darla vinta all’odiato e temibile califfo. A nessuno degli eccelsi precettori, nelle vesti di patetici “ortopedici dell’anima”, è venuto in mente che il califfo ed i suoi neri accoliti se ne fregano  altamente di quanto scrivono in termini così soffici in linea con un certo pensiero  fondato sulla razionale pretesa che soltanto i comportamenti usuali possano essere di efficace contrasto alla criminale sfida jihadista. Dalle parti di Daesh o Isis, come più vi aggrada, avendo capito che la “conquista” del “mondo crociato” è rimandata ad un altro tempo, non proprio vicino, lo si vuole quantomeno terrorizzare, tenere sotto scacco, impedirgli di vivere secondo i sui modelli.

È l’attacco ad un’idea di civiltà che motiva la manovalanza omicida e gli ispiratori della “guerra santa” con la pretesa di bonificare il “pagano Occidente” colpendo i suoi vizi, come può essere il concerto di una giovane rockstar. E allo scopo non c’è bisogno di scatenare possenti armate, ma fidarsi degli effetti del proselitismo via web per attrezzare mentalmente ed armare di conseguenza alcuni mentecatti amorevolmente allevati nelle metropoli europee dove sono nati, cresciuti e si sono formati all’ombra dei “corrotti” costumi occidentali che hanno piacevolmente condiviso. A Bruxelles, a Parigi, a Londra, a Francoforte, a Nizza ed in ogni altro teatro degli ordinari massacri perpetrati negli ultimi anni, i jihadisti della “porta accanto” erano serpenti che grazie alla “normalità”, nel cui ambito sono cresciuti, hanno potuto indisturbati sviluppare la loro tendenza criminale arruolandosi idealmente nell’esercito dell’orrore senza neppure prendersi il disturbo di recarsi in una criminale accademia del Levante, in prossimità di teatri dove si rappresenta quotidianamente l’atroce tragedia di un assurdo genocidio, dalle regioni irachene a quelle siriane.

Comodamente davanti agli schermi di un pc questi mentecatti annoiati da tutto quanto – nel bene e nel male – si produce e si propone in Occidente, si convincono che l’emozione più forte sia uccidere per edificare un “mondo nuovo”, il magico mondo degli Osama Bin Laden, degli Zarkawi, degli Al Zawahiri, di Abu Bakr al-Baghdadi, il paradiso in terra, insomma, e magari coltivare il sogno di  raggiungere le settanta vergini che li attendono nel paradiso islamico dopo il sacrificio supremo.

Di fronte ad una prospettiva come questa ci si può davvero salvare vivendo normalmente come se niente possa scalfire l’esistenza di milioni di esseri umani che hanno una paura fottuta di prendere la metropolitana, di frequentare un centro commerciale, di recarsi ad un concerto, di partecipare ad una manifestazione di massa, di passare una serata al ristorante o in un teatro? Ma non diciamo idiozie. Sulla paura sono stati costruiti i poteri più indecenti e sanguinari della storia. E se quei poteri sono stati vinti non è accaduto perché la gente continuava a lavorare, a fare la spesa, a divertirsi come sempre. C’è stato un sommovimento collettivo, guidato quasi sempre da élites capaci, in grado di stroncare le minacce o annientare il pericolo che ha posto fine all’assedio del terrore. La gente di Vienna, di Belgrado, di Poitier aveva paura, non era più in grado di pensare a se stessa, non agiva “normalmente” fino a quando eserciti attrezzati e ben guidati, animati dalla fede e spinti dalla ragione, non hanno avuto la meglio su barbari che intendevano stravolgere l’ordine costituito fino ad usurpare non dei regni, ma un’intera civiltà.

Siamo in guerra. E per di più combattiamo una speciale guerra che i polemologi chiamano “asimmetrica”: il nemico non si vede, agisce tra di noi ma lontano da noi, è imprendibile perché non individuabile. E a nulla vale il grottesco appello alla chiusura delle frontiere: non c’è stato nessun folle criminale, tra quelli conosciuti, che abbia attraversato il Mediterraneo e l’Europa munito di micidiali armi con la missione di seminare il terrore. Erano tutti “europei”. Le frontiere, al contrario, dovrebbero essere più larghe per permettere ad un progetto serio di sicurezza interstatuale di dispiegare tutte le sue risorse al fine di portare la guerra e seminare il panico ovunque si individuino indizi di jihadismo. Le intelligence non funzionano, le forze dell’ordine fanno quello che possono, manca il coordinamento politico, manca l’impegno culturale limitato a qualche ridicolo appello a “non aver paura” appunto. Ma se sulla paura degli europei si innestasse la consapevolezza che soltanto dalla conoscenza dell’islamismo nelle sue manifestazioni perverse e non certo come derivato di una religione e di una civiltà, si possa vincere questa guerra che sta assumendo proporzioni catastrofiche, forse qualcosa di più che nel perseverare nella normalità in attesa del prossimo attentato ci si potrebbe aspettare.

Insomma, agire smascherando l’impostura, denunciando il crimine in itinere, rendendo noto che non si possono fare affari con i sostenitori palesi ed occulti dei mallevadori del terrorismo globale (i cosiddetti Stati arabi moderati: che risate dalle parti dell’Isis quando hanno visto che gli odiati Usa vendevano in cambio di centinaia di miliardi di dollari armi all’Arabia Saudita!), forse qualcosa in più si otterrebbe rispetto alle noiose marcette ad uso e consumo di leaderini politici smunti, esangui, frastornati. No, quei cortei, insieme con le parole usurate pubblicate con il sistema del copia-incolla, non diradano la paura, ma l’accrescono. Ed i poveri morti di Manchester, come di ogni altra strage jihadista, meritano qualcosa di più e di meglio.

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