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Mini e smart: il job che non c’è

Mentre il camaleontico Trump bacchetta i tedeschi perché importano troppe macchine in America (?) durante il G7 il nostro Gentiloni, garbato presidente del Consiglio, si ritrova a dover combattere le animosità dei fanatici No voucher. Se un problema l’abbiamo è proprio quello di tutelare almeno la nostra stagione turistica e alimentare chi rappresenta il vero polmone di ossigeno del nostro magnifico Paese con quei gioielli che esibiamo con l’orgoglio di un popolo che sa di avere una dote straordinaria.

Ebbene sarebbe bene – scusate il bisticcio – imparare dalla Germania anche il modello denominato minijob, un contratto di lavoro minimo – per durata o per stipendio – pensato per venire incontro alle mutate esigenze tanto sociali quanto economiche introdotto a cominciare dal 2000 e nel contesto delle politiche sociali intraprese da Schröder e tostamente continuate da Merkel.

Ebbene da loro questi contratti hanno dimezzato la disoccupazione e sono stati applicati in diverse tipologie, ambiti lavorativi, diversi contratti e salari, con una flessibilità straordinaria. Differenze sostanziali per i/le lavoratori domestici, pulizie, giardinaggio, assistenza domiciliare, e tra lavoratrici/lavoratori occupati in ambito commerciale e professionale ecc, con contributi e salari diversi. Due branche due ben distinte. Ma valgono per entrambi il valore del lavoro orario 8,84 euro lordi, indennità di malattia, maternità, ferie, sicurezza, fondo pensione, formazione e ricerca di lavoro maior. Ecco dobbiamo ben tenere conto che i mini tedeschi si sono sviluppati anche a fronte di una economia forte e robusta, basata su scelte politiche lungimiranti, operate tra gli ultimi vent’anni del secolo scorso e i giorni nostri.

Sicuramente i cospicui investimenti nella ricerca e nell’istruzione – grazie ai quali il paese ha potuto mantenere un’elevata competitività internazionale “salvando” così, diversamente da altre realtà europee, il proprio comparto industriale – le politiche di alternanza scuola/lavoro per i giovani, ma anche politiche edilizie e sociali che hanno tutelato il potere d’acquisto dei cittadini, mantenendo il costo della vita paradossalmente più basso rispetto a paesi meno fortunati in termini di Pil e bilanci.

Dunque da noi i voucher partoriti con timidezza, hanno avuto un senso proprio per il turismo e il lavoro agricolo e sono indispensabili per l’impresa stagionale, sono sicuramente serviti anche per contrastare il lavoro nero, ma poi sono stati abusati perché i troppi vincoli che ha il nostro mercato del lavoro, il cuneo fiscale, la mancanza di coraggiose riforme hanno sicuramente consentito un abuso. E però ora il governo non può fare la danza del gambero abolirli e poi ripensarci e poi litigare furiosamente proprio in un momento in cui misuriamo la nostra capacità di rialzare la testa. Facciano in fretta un provvedimento che li ripristini a tempo determinato e solo per alcuni lavori veramente stagionali ed importanti per la nostra economia e poi si rimbocchino le maniche e mettano mano alla partita lavoro anche perché si parla anche di smart working ma di leggero nella legge sul lavoro autonomo peraltro non ancora comparso in Gazzetta ben poco di leggero c’è. E la nostra economia agonizza.

 

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