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Cosa (non) si è deciso al summit fra Cina e Unione europea

Strette di mano, comunione di intenti per rimpiazzare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti nella lotta contro i cambiamenti climatici e richiami alla responsabilità alla fine sono serviti a poco. La conclusione del summit tra Unione europea e Cina non è stata suggellata da un comunicato congiunto nonostante le aspettative della vigilia, amplificate dal focus sulla tutela dell’ambiente in risposta alla decisione di Donald Trump di ritirare gli Usa dall’accordo di Parigi sul clima, così da poter rinegoziare i termini dell’intesa. Accomunate dalla volontà di portare avanti gli impegni sulla riduzione delle emissioni di gas serra e lo sviluppo di tecnologia verdi, Bruxelles e Pechino restano distanti sul piano commerciale.

Saltata la parte sugli scambi, anche quella sul clima, che della prima doveva essere un allegato, è stata messa in stand-by. Di quest’ultima era circolata anche una bozza, per la cui stesura si lavorava da un anno, nella quale Cina e Ue riaffermavano anche l’impegno di raccogliere 100 miliardi di dollari l’anno, entro il 2020, per aiutare i Paesi più poveri a ridurre le proprie emissioni e a promuovere tra le altre misure la nascita di un mercato delle emissioni nella Repubblica popolare. A voler guardare il bicchiere mezzo pieno non c’è stato alcun fallimento. Gli incontri tra il premier Li Keqiang e i vertici comunitari hanno soltanto il reiterato divergenze già note, è una delle posizioni che circolano nei corridoi del summit. Manca però una dichiarazione congiunta complessiva che i cinesi non hanno voluto firmare per il mancato riconoscimento dello status di economia di mercato (Mes) nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Le distanze sul tema si portano avanti da mesi. A detta di Pechino l’attribuzione di tale status sarebbe dovuta scattare automaticamente lo scorso dicembre, alla scadenza del periodo transitorio di 15 anni dall’ingresso della Repubblica popolare nel Wto. I 28 sono però divisi sul tema su un’asse Nord-Sud, con i Paesi nordici più vicini alle istanze cinesi e un blocco mediterraneo, guidato da Italia e Francia, che si è opposto perché le distorsioni dell’intervento pubblico sulla concorrenza non permettono di riconoscere la Cina come una piena economia di mercato e senza argini ci sarebbero rischi per la manifattura e le produzione europee. Per avvicinare le posizioni si è scelto quindi di modificare gli strumenti europei di difesa commerciale. Ma dal punto di vista cinese ricevere tale status è una questione di principio, sulla quale, a quanto pare Pechino non intende transigere. Da ciò la richiesta di menzionare il cosiddetto Mes nel documento.

Una concessione sulla quale i 28 non hanno voluto cedere, vedendosi a loro volta respinti i riferimenti al problema dell’eccessiva capacità produttiva delle imprese cinesi. “Siamo felici di essere d’accordo con la Cina sul clima ma nel summit abbiamo discusso problemi più controversi: la sovracapacità nella produzione di acciaio e l’attuazione dell’articolo 15 del protocollo di adesione della Cina al Wto Su questo le distanze si sono accorciate ma non ci siamo ancora”, ha commentato il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker. E da parte europea c’è anche la richiesta di maggiore reciprocità negli investimenti. Il Vecchio continente è diventato da alcuni anni metà di spese per le imprese del Dragone. Le controparti europee si scontrano al contrario con maggiori paletti nell’accesso al mercato d’oltre Muraglia, dove spesso vige un atteggiamento discriminatorio che favorisce i locali, specie se grandi colossi statali.

Le due parti sono riuscite a trovare un terreno comune su alcuni punti. È stato ad esempio siglato un pre-accordo di cooperazione per la tutela di 100 denominazioni protette dei prodotti alimentari (di cui 26 in Italia), mentre la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager ha siglato assieme al presidente della Commissione nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, He Lifeng, un memorandum d’intesa per l’avvio di un meccanismo di consultazione in materia di aiuti di Stato. Soprattutto Cina e Ue si sono trovate sullo stesso fronte nel rivendicare la necessità di tenere fede a quanto deciso a Parigi nel 2015. “Abbiamo la responsabilità congiunta di proteggere un sistema internazionale basato su regole e di mostrare il valore aggiunto di tutti gli aspetti della nostra cooperazione”, ha chiarito il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, sottolineando che la lotta contro i cambiamenti climatici andrà avanti, “con o senza gli Usa”. E in mattinata la reazione ufficiale cinese a Trump era stata affidata al consueto briefing della portavoce del ministero degli Esteri: “Riteniamo che tutte le parti debbano plaudire e tutelare un accordo raggiunto con fatica”. Ma a quanto pare non è bastato rispetto alle divergenze, che pure tutti dicano si stiano assottigliando, in materia di commercio.

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