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Tutte le tribolazioni di Silvio Berlusconi dopo la rottamazione del proporzionale

(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

Le apparenze, si sa, ingannano. Ciò vale anche per l’incidente politico accaduto alla Camera sulla riforma elettorale d’imitazione tedesca, arrivata in aula a marce più o meno forzate per affogare nel classico bicchiere d’acqua. Che è l’emendamento minore approvato a sorpresa, a scrutinio segreto, con una somma assai trasversale di cosiddetti franchi tiratori, traditi però da un errore diabolicamente tecnico. Grazie al quale da segreta la votazione è diventata palese sul tabellone elettronico di Montecitorio, per cui è stata tolta la maschera agli autori dell’inganno.

Era, peraltro, un emendamento non solo minore, presentato in dissenso dal proprio gruppo da una deputata forzista di Bolzano, Michaela Biancofiore, notissima fra i suoi per avere rotto praticamente con tutti, ma addirittura improponibile. Che avrebbe dovuto essere cestinato perché riguardante il sistema elettorale di una regione a statuto speciale – il Trentino Alto Adige – che vive di norme concordate con uno Stato estero: in questo caso, l’Austria.

L’obiettivo dell’operazione condotta contro la riforma elettorale alla tedesca, anche se di tedesco alla fine aveva più poco che tanto, non è affatto il risegretario del Pd Matteo Renzi, come si è detto e si è scritto da tante parti, nel solito e abusato intreccio di voci e retroscena. Lo sta a dimostrare la prontezza con la quale proprio gli uomini di Renzi hanno colto la palla al volo per definire morta la riforma scaricandone tutta la responsabilità sui grillini.

Più ancora del risegretario del Pd, che è sicuramente il loro antagonista principale, che sentono di poter sorpassare al prossimo appuntamento elettorale, conquistando così il trofeo dell’incarico di presidente del Consiglio, con cui magari mettere in pista all’ultimo momento, con i colpi di testa e di mano di cui sono capaci, un personaggio tipo Piercamillo Davigo, capace di attrarre i giustizialisti e manettari di ogni tendenza, che abbondano ormai in quella che Luciano Violante chiama “società giudiziaria”; più ancora – dicevo – del risegretario del Pd, ai grillini andava e va ancora storto il ruolo crescente di Silvio Berlusconi. Che è un ruolo contestato dall’elettorato di Grillo per ragioni non so francamente se più antropologiche o politiche: un ruolo peraltro che rischiava ai loro occhi, man mano che glielo spiegava ogni giorno sul Fatto Quotidiano il direttore e insieme consigliere Marco Travaglio, di risultare sempre più decisivo nella nuova legislatura.

Grillo non poteva permettere, col sistema alla tedesca non a caso sostenuto con particolare accanimento dal presidente di Forza Italia, che Berlusconi con meno voti sia dei grillini sia del Pd potesse aggiudicarsi, oltre alla partecipazione alla maggioranza e al governo, anche il merito di tagliare le unghie, diciamo così, a Renzi rubando il mestiere ai pentastellati: sbarrandogli, per esempio, la strada del ritorno a Palazzo Chigi. E ciò per lasciarvi il conte Paolo Gentlloni Silveri, a quel punto affrancandolo un po’ dalla dipendenza ora totale dall’ex sindaco di Firenze, o per mandarvi un altro di quelle caratteristiche, capace cioè di non fare di Renzi un super leader, ancora più attrattivo di adesso nei riguardi dell’area elettorale dove Berlusconi pesca ancora i suoi voti.

Tutto adesso si fa per l’ex Cavaliere più complicato, specie se Renzi, cogliendo il pretesto offertogli da Grillo, rilanciasse l’idea cara anche al comico di Genova, e che forse egli ha sempre avuto, di portare il Paese, a questo punto anche senza il ricorso alle elezioni anticipate, con le due leggi elettorali, per il Senato e per la Camera, confezionate con le forbici, l’ago e il filo dei giudici costituzionali: gli unici sarti in toga che esistano al mondo. Sono due leggi con una delle quali, quella del Senato, Berlusconi sarebbe materialmente costretto a fare cartello con i leghisti, ma al prezzo stabilito da Matteo Salvini, per conservare una presenza nelle regioni settentrionali, dove non a caso le due maggiori – la Lombardia e il Veneto – hanno già governatori del Carroccio.

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