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Panama rompe con Taiwan e stringe rapporti diplomatici con la Cina

A volte il caso è quasi premonitore. La scorsa estate la prima nave ad attraversare il rinnovato Canale di Panama fu cinese. Il tutto sotto gli occhi della presidentessa taiwanese Tsai Ing-wen, presente all’inaugurazione in quanto all’epoca i panamensi erano ancora tra le poche nazioni a riconoscere il governo di Taipei. Trascorso circa un anno la situazione si è capovolta. “Comunico al mio Paese e al mondo che Panama e la Repubblica Popolare cinese hanno stabilito oggi relazioni diplomatiche», ha annunciato il presidente Juan Carlos Varela (in foto) su Twitter. Il che vuol dire che lo Stato centro americano ha abbracciato la politica dell’unica Cina, riconoscendo Pechino quale governo legittimo e tagliando i ponti con i taiwanesi. Restano così appena venti i Paesi schierati dalla parte di Taipei, il principale dei quali è la Santa Sede, sebbene sotto traccia, da parecchio tempo,  la diplomazia vaticana si stia muovendo per rasserenare i rapporti con la Repubblica popolare, per non perdere i milioni di cattolici oggi divisi tra la fedeltà al Papa e quella alla chiesa patriottica sostenuta dalle autorità cinesi.

La rottura era in qualche modo nell’aria. Secondo quanto rivelato dal ministro degli Esteri panamense, Varela espresse l’intenzione di muoversi verso Pechino già una decina di anni fa. Quando lo scorso gennaio Tsai si recò in visita nell’area, il suo tour toccò il Nicaragua, l’Honduras e il Guatemala, saltando quello che a lungo è stato uno dei più stretti alleati dell’isola, di fatto indipendente dalla Cina dal 1949, quando i nazionalisti, sconfitti nella guerra civili dai comunisti di Mao Zedong, vi trovarono riparo.

Appena un mese prima, peraltro, Taiwan aveva perso l’appoggio di Sao Tome & Principe. Come ricorda il Financial Times, l’isola  però continua ad avere rapporti politici ed economici con la maggior parte dei Paesi che formalmente non la riconoscono come indipendente, su tutti Usa, Giappo e la stessa Cina.

La botta d’immagine si è comunque fatta sentire. «Esprimiamo profondo rincrescimento e dispiacere per il tradimento», è la reazione che arriva da Formosa affidata alle dichiarazioni del segretario generale dell’ufficio presidenziale, Joseph Wu.

Il cambio di prospettiva diplomatica da parte di Panama si inserisce in un periodo di crescente divario tra Taipei e Pechino. A marcare le distanze fu a gennaio dello scorso proprio l’elezione di Tsai, candidata di quel Partito democratico progressista che ha al suo interno frange apertamente indipendentiste e che rifiuta di rifarsi apertamente al cosiddetto consenso del 1992, quel compromesso in base al quale le due sponde dello Stretto ammettono l’esistenza di unica Cina, interpretando però a proprio piacimento tale concetto.

L’ apice delle tensioni fu toccato nei giorni successivi all’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca per una telefonata tra allora presidente eletto e Tsai. Una conversazione di rottura rispetto al protocollo, essendo gli Stati Uniti tra i Paesi che riconoscono Pechino. Una gaffe,  orchestrata da ambienti repubblicani vicini alle istanze taiwanesi, che per alcune settimane Trump continuò a cavalcare pronto a utilizzare la leva delle relazioni con Taiwan per forzare la mano al presidente Xi Jinping sui temi commerciali.

La scelta di  campo panamense si inserisce inoltre nelle relazioni sino-statunitensi, già soltanto per la posizione geografica del Paese, tanto più mentre i cinesi cercano di espandere attraverso il progetto della via della Seta la propria rete logistica e commerciale. Proprio in America Centrale si era anche ipotizzata una via alternativa a Panama, un canale in Nicaragua per collegare Pacifico e Atlantico, finanziato da un imprenditore cinese. Il progetto annunciato nel 2013 ha generato le proteste della popolazione e dubbi sulla fattibilità. Occorre capire se ora andrà avanti. D’altra parte la Repubblica popolare è già il secondo utilizzatore dello Stretto. Dove peraltro ha interessi il magnate di Hong Kong, Li Kashing, con vasti interessi anche nella Cina continentale. La sua Hutchison Whampoa opera infatti nel porti di Balboa e di Cristobal e nel ottobre 2014 aveva annunciato investimenti per 110 milioni nelle infrastrutture portuali

 

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