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Usa-Iran, perché la pandemia non porta a negoziati. Il commento di Perteghella (Ispi)

Il Pentagono ha diffuso oggi una precisazione a proposito della dichiarazione iper-aggressiva con cui ieri il presidente Donald Trump annunciava di aver dato ordine di fuoco alle unità della Us Navy in risposta a eventuali ordini pericolosi dall’Iran nel Golfo Persico. “Ciò che [il presidente] stava enfatizzando è che tutte le nostre navi mantengono il diritto di autodifesa e gli altri devono fare molta attenzione nelle loro interazioni” ha spiegato David Norquist, vice segretario alla Difesa durante una conferenza stampa dal Pentagono. La dichiarazione è una smentita da parte dell’apparato militare a proposito di un’uscita poco protocollare e molto spinta della Casa Bianca. Non è la prima volta che succedono situazioni del genere, ed è anche frutto dell’eterno confronto interno tra sistemi dell’amministrazione e presidenza che ha contraddistinto l’era Trump.

Perché quel tweet? “Lo schema è il solito, quello della massima pressione, che non si ferma nemmeno nel momento in cui il mondo parla di altro, ossia della pandemia. La crisi era una possibilità per far ripartire negoziati nel Golfo, ma Trump ha ribadito che lui per il momento non intende mollare la linea. Avrebbe potuto alleggerire le sanzioni, e invece ne ha messe di altre. Perché l’idea è sempre quella: stringere, stringere, stringere, portare l’Iran sempre più in difficoltà finché primo o poi non crolla”, spiega Annalisa Perteghella, Iran Desk dell’Ispi.

La situazione nel Golfo è molto calda, ed è uno di quei contesti geopolitici dove non è stata necessaria l’epidemia per mettere a nudo le faglie: tutto è chiaro, ma certamente la crisi in corso e il futuro – col contraccolpo economico – rendono tutto più delicato. Stati Uniti e Iran sono ai toni guerreschi da mesi, e lo scontro è scivolato in un terreno delicatissimo i primi di gennaio, quando un drone americano ha eliminato l’architetto della strategia esterna dei Pasdaran – il general Qassem Soleimani – e Teheran ha risposto con un attacco missilistico contro una base irachena che ospita anche personale occidentale.

Anche in quell’occasione, dopo giorni di retorica ruggente, sia dagli Usa che dalla Repubblica islamica erano arrivate forme di rassicurazione secondo una linea presa verso la de-escalation. Il presidente Trump insisteva che pressare l’Iran serviva a creare un piano di dialogo verso qualcosa di simile a un nuovo accordo – dopo l’uscita da quello sul nucleare del 2015, il Jcpoa. L’intesa avrebbe dovuto essere più ampia, e doveva fare da framework per la sicurezza dell’intera regione. Ma sia gli Stati Uniti che l’Iran sono sistemi complessi, dove il peso degli stati profondi è forte, in grado di indirizzare dinamiche all’esterno.

I Pasdaran per esempio – network articolato e disomogeneo all’interno dello stato-iraniano – hanno al loro interno dei gruppi oltranzisti che tendono a vedere nel mantenimento di un ingaggio a basa intensità l’interesse strategico. Non vogliono mollare la linea dura anti-Usa perché attorno a quella ruota parte della loro esistenza. Sia economica – perché sono collegati ai settori dell’industria militare, che se il rischio guerra col Grande Diavolo statunitense è alto, attira investimenti. Sia esistenziale – attorno all’ideologia ruota gran parte del consenso infiammato e catturato dagli ultraconservatori, e attraverso il consenso riescono a mantenersi vivi nel sistema-paese iraniano.

Oggi per esempio il generale Hossein Salami, comanda di massimo grado dei Psadaran ha trovato gioco facile dal punto di vista narrativo nel replicare a Trump: “Ho ordinato alle nostre forze navali di distruggere qualsiasi forza terroristica statunitense nel Golfo Persico che minacci la sicurezza delle navi militari e non militari dell’Iran”, ha dichiarato alla tv di Stato.

“Il punto – spiega Perteghella – sta proprio nel fatto che tutto appare dimostrare che la linea americana non sta funzionando, perché la Repubblica islamica si dimostra molto resiliente. Anzi, davanti alle pressioni ha aumentato l’aggressività”. Che cosa possiamo prevedere? “Immagino che andremo avanti così almeno fino a novembre (quando ci saranno le elezioni presidenziali, ndr), mentre l’unica possibilità di sistemare la situazione a me pare che sia quella di tornare a negoziare. Farlo davvero intendo”.

L’analista dell’Ispi aggiunge un commento importante riguardo al contesto: “Il quadro era perfetto, infatti la pandemia ha creato i presupposti per una diplomazia degli aiuti che avrebbe permesso agli Stati Uniti di riagganciare il contatto con l’Iran, e di farlo senza necessariamente sembrare cedevoli. Ossia, se nella normalità l’avvio di nuovi colloqui poteva sembrare una cedimento riguardo alla linea della massima pressione, in questa fase c’era la possibilità di usare la crisi come vettore e rilanciare i negoziati”.

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